Capitolo diciannove

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Lauren camminava avanti e indietro sul marciapiede, in bocca pencolava già la decima sigaretta della mattinata. Si passava ripetutamente la mano fra la chioma folta, somatizzando il nervosismo. Ma l'intrico dei suoi pensieri continuava a soggiogarla.

Anzitutto era rammaricata per aver accondisceso alla pretesa di Camila, e non smetteva di rimproverarsi per aver sancito quella stupida scommessa. Non le piaceva l'idea di tornare in palestra, non ci metteva piede da anni. Quel posto avrebbe potuto rievocarle memorie che era conveniente postergare. In più era esagitata perché Camila era in ritardo... Di ben sei minuti!

Se non si fosse presentata nel giro di dieci secondi, Lauren se ne sarebbe andata, e se l'avesse assillata e subissata di ingiurie, avrebbe accusato la cubana della sua negligenza.

In effetti il pensiero di andarsene non era per niente male. Avrebbe avuto un motivo per urlare contro Camila, si sarebbe rilassata tutto il giorno sul letto a fumare sigarette e leggere vecchi fumetti consunti che non l'annoiavano mai... Ma i suoi propositi vennero disfatti quando la cubana sbucò dal fondo della strada, a piedi. Lauren sospirò; non seppe definire se fosse di sollievo o di amarezza.

Aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo che le ondeggiava sulla schiena. Una borsa che ad occhio pareva pesante, visto il movimento sbilenco che storpiava la camminata della cubana, bilanciandola verso un lato. Pantaloncini corti e maglietta senza maniche, in aggiunta ad un paio di sneaker.

«Ciao!» Disse sorridente la cubana, non riuscendo ad irradiare la tenebrosità di Lauren con il suo spirito entusiasta.

«Sei in ritardo.» La redarguì subitaneamente la corvina, contraendo il viso in maniera draconiana.

«Si considera ritardo solo dopo i dieci minuti..» Diede una rapida scorsa al telefono che brandiva e sorrise fiera, mostrando lo schermo a Lauren dove lampeggiava l'ora in grassetto, testimoniando solo otto minuti di "non-ritardo".

Lauren roteò gli occhi al cielo, ma preferì non litigare subito con la cubana, dato che doveva sopportarla per tre ore. Cominciare l'allenamento con il malumore era il peggior dei modi.

Entrò dentro la struttura, che era situata fra il negozio di dischi di Jonatan e la panetteria di Penny, soprannominata con tale epiteto perché non vedeva solo pane, schiacciate e baguette...

L'androne era come la corvina ricordava: ampio, luminoso, accogliente. Il soffitto era esageratamente alto, perché l'edificio interno era predisposto in terrazze quadrate senza una pavimentazione al centro, cosicché lo sguardo potesse perdersi sulle vetrate del soffitto che, quel giorno, sprigionavano una luce tiepida ma abbagliante, che indorava le pareti bianche.

La corvina si diresse verso gli spogliatoi, tenendo la testa bassa e mantenendo un'andatura celere. Camila le si caracollava dietro, ma veniva rallentata dalla pesantezza della borsa che intralciava movimenti fluidi e svelti.

Lauren sbirciò dalla porta, senza addentrarsi. Dopo aver perlustrato la stanza inondata da un odore mucido, fece cenno a Camila di entrare e richiuse l'uscio. Gli spogliatoi non erano grandi, ma vi erano panche in abbondanza e solo una era spoglia, mentre le altre rigurgitavano borsoni, calzini spaiati e giubbotti sgargianti. C'era un odore stantio all'interno, un concentrato di sudore e puzza di scarpe. Le docce erano comuni, anche se Camila su un pavimento logoro come quello non ci avrebbe messo piede neanche a pagarla...

«Lascia qui il cambio e andiamo.» Impartì Lauren, togliendosi solo la giacca di pelle.

Indossava anche lei un paio di pantaloncini, più lunghi rispetto a quelli di Camila, le ricordavano quelli usati nel basket. Una maglietta attillata che esaltava l'addome tonico della ragazza e i bicipiti, non troppo evidenti se non quando contraeva i muscoli.

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