Capitolo venti

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Lauren passò una mano sul volto, storcendo le labbra quando le dita calcarono la parte contusa attorno al naso. Emise un grugnito, ricordando gli avvenimenti del giorno prima, ma anche un sorriso sghembo affiorò sulle sue labbra.

Scivolò faticosamente fuori dal letto, mugolando contrariata ad ogni passo. Versò una tazza di caffè, e al primo sorso le venne voglia di sbruffarlo, tanto era rancido, ma invece lo ingoiò, infischiandosene del sapore e fruendo solamente dell'effetto della caffeina che vivificò i suoi sensi assonnati.

Il lunedì mattina era il giorno peggiore. Ricominciava la routine, le ebrezza del weekend veniva commutate con pigrizia e svogliatezza che si trascinava dietro per tutto il giorno.

Ingollò anche l'ultimo sorso di caffè, ormai non più nemmeno tanto caldo, e si approssimò al piccolo specchio appeso sul muro della camera. Per doversi riflettere doveva inginocchiarsi sul materasso, perché lo spazio fra la struttura del letto e l'oggetto era talmente esiguo da non poterci camminare.

Si avvicinò per osservare meglio il livido che aveva al lato del naso. Non era niente di che, solo un alone rossastro che sfumava sul violaceo solo a sprazzi. Sicuramente quello non era niente a confronto di tutte le contusioni che aveva subito, ma doveva ammettere, a malincuore, che per essere il risultato di una principiante che si stava allenando solo da due ore e mezzo.. beh, non era niente male.

Ravvivò i capelli con colpi di spazzola qua e là, poi indossò l'immancabile giacca di pelle nera, i jeans rigorosamente neri, gli stivaletti e uscì di casa con una sigaretta fra le labbra e una nuvoletta di fumo che galleggiava alle sue spalle.

Le strade erano intrise di nebbia quella mattina. Sembrava che il cielo si fosse invertito con la terra, perché era una bruma talmente densa da rassomigliare la consistenza delle nuvole. I lampioni erano spenti nonostante il buio prevalesse. Lauren non riusciva a discernere cosa ci fosse ad un metro da lei, e questa cosa la faceva sorridere.

A lei era sempre piaciuto non sapere, camminare sul crinale dell'ignoto con la temibile consapevolezza di poter franare, ma anche con la vivida speranza di franare.

Sì, le piaceva l'alea, il brivido che si propagava nella spina dorsale e mobilita tutti gli arti, tutti i muscoli. In fondo sapeva che nella vita c'è sempre uno smottamento, e preferiva giocare con tale sventura invece che soccombere.

Adesso, però, camminare sul filo del rasoio significava perdere la libertà e Lauren non era assuefatta a tale disgrazia. Era sempre stata sola, aveva vissuto come aveva voluto, aveva creato e distrutto tutto con le sue mani.. Sempre libera. Ma adesso, adesso...

Lanciò il mozzicone a terra, lo calpestò con la punta della scarpa e nascose le mani nelle tasche, avventurandosi nella foschia mattutina che sembrava l'allegoria della sua vita.

Sopraggiunse nei pressi dell'azienda più tardi del solito, ma non c'era comunque da angustiarsi perché i primi ad arrivare non si presentavano prima delle nove, quindi aveva ancora due ore per spolverare, lavare i pavimenti, svuotare i cestini...

Salì in ascensore assieme ad un'altra inserviente. Era sulla cinquantina a giudicare dalle rughe evidenti che le sfregiavano il volto, ma non abbastanza profonde da attribuirle un'età più avanzata. Masticava rumorosamente un chewing-gum, urtando il sistema nervoso della corvina che più di una volta aveva mugugnato infastidita. Per fortuna la donna scese al quarto piano e Lauren ebbe cinque secondi di tregua, prima che le porte si spalancassero sul corridoio dell'ufficio.

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