Capitolo ventisei

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Caffè. Parola d'ordine, caffè.

Camila uscì ad un'ora mattutina, prima del solito, perché necessitava ardentemente di un vero caffè lche la rinvigorisse dopo la notte insonne...

Ed era tutta colpa di Lauren.

Non solo aveva ceduto per la seconda volta, ma quando era tornata a casa aveva investito le rimanenti ore di sonno a orchestrare una strategia che ponesse fine alle inesplicabili scappatelle.

Camila detestava Lauren, su quello non c'era ombra di dubbio, ma allora perché non sapeva resisterle? Con sforzo e avversità, aveva ammesso a se stessa che la corvina era dotata di impareggiabile avvenenza... Ma nella sua vita Camila aveva incontrato tante persone affascinanti, eppure l'aspetto fisico non le aveva mai cagionato tale malia. Perché allora? Quale qualità possedeva Lauren capace di sbaragliare la "concorrenza"?

Camila scosse energicamente la testa, volendo con tutta se stessa sbarazzarsi di quei travianti e caotici pensieri.

Attraversò la strada spedita, puntando dritta verso il suo bar di fiducia. Il proprietario, Ferdinando, era un sud-americano spigliato e dalla battuta pronta, con corposi baffi e sguardo vispo nonostante l'età avanzata.

Camila si recava nel suo locale da quando Alejandro aveva prelevato l'ufficio da un suo vecchio amico che stava fallendo, ed essendo l'azienda Cabello rispettata e rinomata, il prezzo era stato generosamente elevato dal padre della cubana a favore del suo amico.
Camila aveva assaggiato subito il sapore rancido del caffè prodotto dalla macchinetta dell'ufficio, così si era avventurata per le strade per saziare l'irreversibile voglia di caffeina. Scoperto Ferdinando non aveva mai altalenato con altri bar (se non quello dell'azienda dove il servizio era decente e molto spesso approfittava della comoda posizione del locale).

Era da un po', comunque, che non si fermava nel suo festoso bar, perché il lavoro era sempre più ingente e il tempo non guardava in faccia nessuno.

Spalancò la porta e salutò con un sorriso gioioso l'uomo dall'altra parte del bancone che era indaffarato a detergere la schiuma impura sui boccali.

«Camilita, quanto tempo, mi amor.» Salutò arzillo Ferdinando, muovendo le braccia a tempo della musica che si spandeva nell'aria.

«Se le persone fossero più coscienti, passerei meno tempo in ufficio.» Scattò sulla difensiva la cubana, poggiando la borsa sul bancone e sedendosi su uno sgabello, accanto ad una signora attempata vestita con un tailleur rosa che probabilmente lavorava nel suo stesso edificio, ma ad un altro piano.

«Vuoi un caffè?» L'additò con sguardo malizioso ma risoluto, convinto di non sbagliarsi sui gusti dei suoi clienti abituali.

«Ti prego.» Replicò annuendo, suscitando una risata da parte di Ferdinando che era sempre ben predisposto a locupletare il suo ego.

Nel frattempo Camila ascoltò la musica ondeggiare nell'ambiente con sensualità, come una bella donna che ancheggiava provocante in una balera... Oppure come Lauren che danzava... Cosa? No!

La cubana scosse la testa, schiarì la voce e abbassò lo sguardo sulle scheggiature del legno, seguendone infantilmente ogni incurvatura, tentando di annoverarle purché il suo pensiero si focalizzasse su altro.

Ferdinando servì la tazzina a Camila e, appoggiando un gomito contro il bancone, puntò i suoi occhi luccicanti sulla cubana, inducendola silenziosamente a berlo.

Non voleva solo conoscere il verdetto di Camila riguardo la sua prodigiosa mano che a sua detta fabbricava i migliori caffè del paese; in realtà era solo impaziente di attuare la sua famosa pratica.

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