XXII

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Ho scritto il capito velocemente e non ho avuto tempo di rileggerlo, lo farò domani.
PS: abbiamo superato le 600 visualizzazioni!!
-Angel❤️

Buona lettura

Quando tornai al castello, mi rifugiai in camera mia senza nemmeno togliermi gli abiti zuppi da dosso. Il vestito bagnato rendeva la mia pelle umida e il cuoio capelluto umido mi fece venire un mal di testa assurdo.

Dovevo cenare, ma non avevo fame. Il senso opprime al petto era passato allo stomaco e una nausea rivolta alla mia famiglia mi fece gemere dal disgusto. Ciò che avevano fatto era peggio di un sacrilegio, mentire alla propria figlia, sangue del loro sangue, di qualcosa di estremamente importante per la sua vita. Avevo detto loro che sarei tornata, ma lo avrei fatto solo per i miei fratelli.

Non mi ero mai sentita più sola di allora, solitamente non ero una ragazza malinconica, non avevo mai avuto motivo di versare lacrime, ma ultimamente era ciò che mi riusciva alla perfezione. Volevo un abbraccio da qualcuno, chiunque esso sia, ma nella stanza non c'era nessuno.

Mi mancava la benevolenza dei mie fratelli e la loro protezione, anche per cose futili. Rimasi stesa a letto a guardare il soffitto, il temporale era ritornato più potente di prima e i tuoni mi facevano venire il batticuore.

Sentii qualcuno bussare alla mia porta, ma non risposi, non ne avevo voglia. «Meredith so che siete lì», la voce di Abel mi fece voltare dall'altro lato. La porta si aprì e pesanti passi si avvicinarono lentamente a me.

La sua mano fredda si piantò sul mio fianco e fui scossa da un brivido. «Lascetemi da sola, vi prego, voglio riposare.»

«Dovete togliervi gli abiti bagnati, rischiate seriamente un malanno», disse con voce dolce, mentre mi accarezzava lentamente i capelli. Aveva capito che i miei genitori mi avevano sterminata.

«Lo farò, ma ora andate.»

Sospirò, ma fece come gli dissi. Chiusi gli occhi per una frazione di secondi, ma bastarono per farmi cadere in un sonno senza sogni. Una volta sorridevo mentre dormivo, da quando ero in quel castello, non sapevo nemmeno più cos'era un sogno.

Sobbalzai dal sonno quando una mano fredda mo sfiorò il viso, ma davanti a me non vi era nessuno. Mi passai una mano sul collo sudato e mi alzai, dirigendomi in bagno. Quel tocco ghiacciato mi avevo congelato il sangue nelle vene. Le mani mi tremavano dalla paura e dovetti respirare affannosamente per un paio di secondi, prima di stabilizzarmi. Forse avevo fatto un incubo, ma non ricordavo.

Mi sciacquai il viso e tolsi i vestiti, quasi asciutti, indossando la veste da notte. Mi passai una mano tra i capelli, sentendoli crespi e mi avviai nuovamente a letto, ma pochi secondi prima di sdraiarmi, sentii un urlo.

Mi voltai verso la porta chiusa e, quando c'è ne fu un secondo, corsi verso questa. Afferrai la maniglia, ma qualcosa mi afferrò da dietro e mi lanciò al lato opposto. Era avvenuto tutti velocemente, non avevo avuto il tempo di concepire cosa stesse accadendo, che la finestra si spalancò. Ero stesa a terra, quella strana forza mi aveva scaraventata sulla vetrina dei liquori e il braccio destro era pieno di sangue, con piccole schegge di vetro conficcate nella carne.

Mi alzai e, barcollando con le lacrime agli occhi, corsi verso la porta. Questa volta riuscii ad uscire senza ostacoli. Il corridoio era isolato, il caos proveniva dal piano inferiore. Iniziai a camminare lentamente verso la rampa di scale, di tanto in tanto mi voltavo per assicurarmi di essere sola.

Mi fermai ancora prima di scendere il primo gradino, quando vidi due guardie stese a terra, prive di vita. Mi tappai la bocca per evitare di urlare dal terrore e ancora una volta mi voltai. Le superai, chiudendo gli occhi, e continuai a scendere.

Quando arrivai al piano inferiore, mi scontrai con la ragazza che solitamente mi aiutava con il bustino. «Siete ferita», per la prima volta parlò, «venite con me, ho tutto l'occorrente nelle cucine, vi sconsiglio di proseguire.»

Volevo capire cosa era successo, ma il braccio mi duoleva troppo e il sangue non si fermava dall'uscire. La seguii in cucina, dove la vidi alzarsi in punta di piedi per prendere da una mensola di legno delle boccette e delle calze.

«Qui in cucina capitano spesso incidenti, siamo provviste di tutto», spiegò lei.
Osservò le entità delle ferite e aggrottò la fronte, «dobbiamo togliere i cocci di vetro, come ve la siete procurata?»

«Non lo so», risposi, continuando a guardarmi attorno, avevo paura.

«Il peggio ormai è passato, non abbiate paura.»

«Sapete cosa è successo?»

Scosse la testa, «quando mi sono svegliata e sono corsa davanti all'entrata, non ho trovato altro che sangue e guardie morte. I padroni sono nel panico e non si spiegano chi abbia potuto fare una cosa del genere. La signorina Leila si è sentita male quando ha visto tutto quel sangue, ha cominciato ad urlare come se avessero colpito lei.»

Rimasi in silenzio e strinsi i denti mentre con una piccola pinza mi toglieva i cocci di vetro. Mi salirono le lacrime agli occhi, e qualcuna riuscì puro a sfuggire, ma non fiatavo. «Penso di averli tolte tutti, ma non ne sono sicura, dovreste farvi visitare da un medico, alcuni tagli sono molto profondi», prese una pezza e la bagnò, iniziando a pulire il sangue fuoriuscito, dopodiché le medicò il braccio.

«Grazie mille», dissi, sorridendo.

«Dobbiamo raggiungere i padroni, non è prudente restare qui, temono che l'assassino sia ancora nel castello; manderanno qualcuno a perlustrare.»

Raggiungemmo velocemente il salone dove vidi Leila stretta tra le braccia di William che piangeva disperatamente, come una bambina. Abel stava parlando con il giardiniere e altri uomini che non conoscevo e dal modo con cui agitava le braccia, capii che era nel panico.

Volevo avvicinarmi e cercare di calmarlo, ma sarebbe stato inutile, quindi andai da Leila. William le accarezzava i capelli e le sussurrava parole che non riuscivo a sentire, era bellissimo vederli insieme.

Le poggiai una mano sulla spalla e l'unica domanda che mi porsi fu: cosa stava succedendo?

Sentimenti OscuriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora