XXXVIII

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Rientrammo nel castello, dopo esserci assicurati che non vi fossero più creature in giro. Per fortuna Annabelle e il giardiniere era in paese e ci sarebbero rimasti fino al giorno seguente. Ignorai completamente l'odore nauseante dei cadaveri e ci chiudemmo tutti nella biblioteca; una delle poche camere che era intatta. Sapevo che tra poco tempo sarebbe arrivato il nonno e ciò che doveva dirci mi incuriosiva e terrorizzava all'unisono.

Mi sedetti su una poltrona e mi tastai la caviglia dolorante, non era stato facile correre per il castello con quel abito, seppur non fosse totalmente ingombrante. Non sapevo cosa fare, o dire, ad Abel. Capii che la sua trasformazione era avvenuta per causa mia e ciò mi fece morire interiormente; sicuramente ci sarebbe stato un'altro scontro e non avrei dovuto mostrare la mia paura. La porta della biblioteca si aprì ed entro un signore dai capelli grigi e folti. Avanzò deciso verso di noi e, non appena Leila lo vide, abbassò il viso e fece un piccolo inchino. A differenza sua, io rimasi immobile a contemplarlo. Non mi piaceva affatto, la sua postura era rigida e lo sguardo era severo. Era colpa sua se Abel e la sua famiglia erano vittime della maledizione e ciò non potevo perdonarlo.

«Scusate il leggero ritardo», disse con voce dura. Indossava un raffinato abito di sartoria e i suoi occhi erano identici a quelli di Abel: neri come la pece e il carbone. Si voltò dapprima verso Leila, sorridendole, e poi verso di me. «Voi siete Meredith, ci siamo sicuramente incontrati alla cerimonia.»

Eppure non ricordavo di lui, non lo avevo mai visto, forse non si era presentato. «Salve.»

Mi porse la mano, ma non gliela strinsi, non volevo aver a che fare con quell'uomo. Leila sgranò gli occhi a quel rifiuto, ma Abel e William non fecero e non dissero nulla. L'uomo abbassò la mano e celò un sorriso. «Accomodiamoci, dobbiamo parlare...tra uomini.»

Io e Leila ci guardammo per una frazione di secondi, alla fine fu lei ad afferrarmi e a trascinarmi fuori. Non capivo perché ci escludessero, perché eravamo donne e quindi inutili? Mi morsi l'interno guancia ed uscii da quella stanza, andando poi in quella di Leila. «Non dovete reagire in quel modo, abbiate fiducia nei nostri uomini.»

«Ho fiducia in loro, ma non capisco perché ci hanno escluse!», incrociai le braccia al petto, «abbiamo tutto il diritto di sapere cosa sta succedendo, cosa sono quei mostri, chi li manda e perché.»

Sospirò, «purtroppo a noi non verrà detto nulla, forse ci diranno qualcosa in seguito.»

Alzai gli occhi al cielo e, mentre lei si accomodava sul letto, io decisi di uscire. Le dissi che andavo nella mia camera per recuperare un oggetto a me prezioso, invece mi recai verso la biblioteca, con l'intento di ascoltare. Mi sorpresi, quando trovai Edward accovacciato accanto alla porta. «Edward?», dissi a bassa voce.

Lui scattò sull'attenti e si voltò verso di me, impallidendo. Gli feci segno di rimanere in silenzio e di seguirmi. Entrammo nella mia camera, dove vi era ancora il tavolo rovesciato e le tende malandate.

«Vi chiedo perdono per aver origliato e vi scongiuro di non riferirlo ai principi», abbassò il viso in segno di rispetto.

«Non dirò nulla», probabilmente avevano già avvertito la sua presenza, «a patto che mi diciate cosa avete ascoltato.»

Mi guardò confuso e sorpreso per un breve lasso di tempo, dopodiché annuì. Lo feci accomodare con me sul letto e, dopo essersi tolto l'elmo dal capo, disse: «stavano parlando di quelle strane creature che vi hanno attaccata. Non ho ben capito cosa siano, ma non sono esseri umani, come credevo io; loro...loro parlavano di anime dannate e soggiogate per attaccare. Onestamente non so se sia vero, non credo in ciò.»

«E' vero», annuii, «so che è inconcepibile capacitarsi, ma dovete farlo.»

«Quindi voi...voi ne siete a conoscenza?»

«Più o meno, si, continuate.»

«Hanno citato la stregoneria e, se ho ascoltato bene, parlavano di uno scambio. Da quel che ho capito, è stato un loro antico nemico, mi sembra si chiamasse Caleb, a mandare quelle creature; vuole qualcuno di estrema importanza per lui, qualcuno che appartiene al principe Abel.»

Aggrottai la fronte, «avete detto qualcuno, non qualcosa?»

Annuì, «qualcuno...qualcuno che sappia usare la magia. Sono una nuova guardia e non conosco molto bene i padroni, ma...ma non penso che qui al castello ci sia qualcuno che sappia usare la magia; il nostro paese non ama queste leggende e chiunque viene accusato, anche se falsamente, di magia, lo si uccide.»

Abbassai lo sguardo e impaurita chiesi: «cosa hanno intenzione di fare?»

«Cedere a Caleb quella persona, non vogliono altri spargimenti di sangue», rispose serio e mi fissò intensamente. «Voi non conoscete questa persona, vero?»

Sobbalzai dal letto ed iniziai a camminare avanti ed indietro per la stanza. Ero il legame di Abel, lui voleva proteggermi, non aveva senso cedermi a Caleb. Ma l'unica strega presente al castello ero io, perché volevano farlo? Non volevano altri spargimenti di sangue!? Abel era d'accordo?

Pensai a ciò che mi disse William e rimuginai sulle sue parole. Forse era la scelta giusta, allontanarmi da lui. Non volevo schierarmi dalla parte di Caleb, non mi sarei mai consegnata a lui, ma allontanarmi da Abel era la scelta migliore; in quel modo non si sarebbe più trasformato e non avrebbe rischiato di impazzire per me.

Sentii una mano avvolgere il mio polso, mi voltai di scatto e vidi Edward. «Venite con me, non lascerò che finiate nelle mani del nemico.»

Spalancai la bocca, ma non dissi nulla: aveva capito tutto e, senza pensarci due volte, accettai la sua richiesta.

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