XLIV

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Meredith

Non sapevo cosa mi fosse successo, cosa mi avessero fatto. Ricordavo solo di essere stata incatenata mani e piedi e poi basta. Le persone che avevo dinanzi erano le più care che avessi a questo mondo.

Mi alzai dal letto quella mattina e guardai la mia stanza per bene. Mi risultava tanto estranea, ma familiare all'unisono. Percorsi i corridoi che mi avevano vista crescere, ma li percorrevo lentamente, quasi come se fosse la prima volta che li vedevo.

Caleb ed Elena mi seguivano come cagnolini, ma non capivo il motivo. «Come ti senti?», chiese quest'ultima, «ci hai fatto preoccupare tanto.»

«Non ricordo di essere stata rapita, come mi avete liberata?»

«Grazie a tua sorella Elena, è stata molto brava nel rintracciarti, ma adesso radichiamo vendetta», rispose Caleb. Una volta arrivata al piano inferiore, mi fermai e lo contemplai.

«È vero, mi hanno rapita, ma non mi hanno fatto nulla di male.»

«È il gesto che porta con sé conseguenze, non vogliamo che accada nuovamente», digrignò i denti.

«Cosa vorreste fare?»

«Sono secoli che coviamo un odio reciproco, penso sia arrivato il momento di attaccare.»

Un brivido mi percorse la spina dorsale e battei le palpebre lentamente, «avete intenzione di creare un guerra, dunque.»

Annuì, «assolutamente. Abbiamo a nostra disposizione un esercito e intendo usarlo. Sai bene quanto me come abbiamo sofferto e i sacrifici a cui siamo andati incontro.»

Abbassai il viso. Era vero, loro erano il nemico, coloro che ci avevano creato disagi e malori. Avrei aiutato la mia famiglia a vendicarsi e ciò significava approfondire le mie conoscenze con la magia. Ero contraria a ciò, ma non potevo non aiutarli.

Abel

William distese delicatamente Leila sul morbido materasso del suo letto. Quest'ultima respirava appena, mentre le lacrime si seccavano sulle gote. Era una scena straziante, non avevo mai visto William in quel modo.

Mio nonno entrò in camera e la osservò. «William la situazione è grave, non abbiamo tempo di chiamare una curatrice.»

William si passò una mano tra i capelli e poi sul viso.

«Devi trasformarla», aggiunse poi.

«Io non...non posso, non senza il suo permesso.»

Leila chiuse gli occhi in un chiaro segno di sofferenza e gemette dal dolore. «Will...William, aiuto», disse con un filo di voce.

La sua pelle era ormai pallidissima e non le restava tanto tempo. William, udendo la richiesta disperata del suo legame, sgranò gli occhi. Con un rapido gesto, si portò il polso alle labbra e lo morse.

Subito lo posizionò sulle labbra di Leila, ma questa non bevve, facendo così colare il liquido rosso ai lati delle sue labbra.
«Leila, ti prego apri gli occhi. Ti scongiuro, non lasciarmi da solo», le scosse leggermente la spalla, ma questa aveva gli occhi chiusi. Sentii i battiti del suo cuore ormai cessare lentamente. «Leila...Leila!!», la scosse con più vigore.

«William», mi avvicinai, ma nello stesso istante le sue labbra si aprirono leggermente. Fu allora che William riportò il suo polso su di esse e quella volta qualche goccia scese giù per l'esofago. Il secondo successivo, quei pochi battiti erano del tutto spariti.

«Funzionerà, era ancora viva», gli poggiai una mano sulla spalla.

Annuì, «si, deve funzionare.»

«Sarà scandaloso informare i nostri sudditi che un legame è stato trasformato», scosse il viso il nonno.

William lo incenerì con lo sguardo, «quelli che voi chiamate sudditi, non sono altro che vampiri nobili, o di basso rango, che hanno sempre da ridire su tutto. Non mi interessa della loro opinione, ogni uno ha una propria visione. Siamo noi al comando, che a loro piaccia oppure no, dicidiamo ciò che è meglio fare.»

«Cos'è questa improvvisa superbia, nipote mio? È vero che le leggi le dettiamo noi qui, ma non dimenticare che dobbiamo agire coerentemente con i nostri canoni. Il vampiro antico ha etichettato loro», indica Leila, «come schiave di noi vampiri. Ormai tutti hanno questa visione, non possiamo alterarla, o addirittura cambiarla. Questo è un caso eccezionale...oltre alla streghetta», mi lanciò un'occhiata.

Al sol udire streghetta, una profonda sensazione di angoscia si impadronì di me. Mi mancava, mi mancava vederla a colazione, mi mancavano i cuscini volanti e le passeggiate nei giardini. Era bellissimo vederla accogliere il sole con un sorriso, era bellissimo vederla osserva tutto con interesse e passione.

Ripensai alla notte in cui decise di donarsi a me e sorrisi involontariamente. Osservai come William stringeva la mano a Leila e le rimaneva accanto e decisi di lasciarlo un po'da solo.

Sapevo che la trasformazione era un argomento lungo e complesso, non doveva essere facile per lui. Leila, però, amava la nostra razza, ma non ne avevano mai parlato di una possibile trasformazione. Tornai in camera mia, dove trovai la libreria rovesciata. Sospirai e decisi di sistemare la stanza, odiavo il disordine.

Dopodiché mi sciacquai il viso con dell'acqua gelida e mi sdraiai a letto. Chiusi gli occhi, ma non sognai, piuttosto pensai a Meredith e al suo dolce viso.

Meredith

Elena mi aiutò con i testi antichi sulla magia, ma mi trovai in difficoltà. Non conoscevo quella idioma e non capii perché mia sorella non me l'avesse insegnata da bambina. Era inconcepibile riuscire ad impararla in pochi giorni, ma purtroppo dovevo; tutte le miglior magie erano scritte in quella idioma.

Mi massaggiai le tempie stanca. «Meredith andate a riposare, siete stanca, completeremo domani», disse Elena.

Annuii e le sorrisi. Andai nella mia camera e mi coricai senza curarmi di togliere le scarpe alte. Chiusi gli occhi e, inconsapevolmente, mi comparve davanti la figura di un ragazzo.

«Meredith, sono...sono riuscito a mettermi in contatto con voi!», si avvicinò e mi abbracciò, «non pensavo di farcela, cosa vi è successo? Il legame è stato indebolito e non ne capisco il motivo.»

Lo allontanai subito, «chi siete?»

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