XXIII

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Per fortuna nel castello non vi era alcun estraneo, ma la notizia ci calmò solo per quell'istante. I corpi delle guardie furono tolti e seppelliti nel cimitero del paese, con l'aiuto di alcuni uomini. Era stata una lunghissima nottata e nessuno di noi aveva chiuso occhio.

Il braccio mi duoleva tanto, ma restavo in silenzio; non volevo che qualcuno si preoccupasse per me, la situazione era già grave da sé, anche se nessuno si era avvicinato per chiedermi se stessi bene. Leila si era calmata dopo due tisane e William poté finalmente aiutare suo fratello nelle ricerche.

Erano le sei del mattino, quando decisi di tornare in camera mia e riparare i danni causati dallo sconosciuto. Ero sicura che fosse stato lui a farmi volare per la stanza, ma nel castello girava voce che si fosse fermato ai piani inferiori.

Mi sedetti a bordo letto e mi guardai attorno, quella famosa sensazione di essere osservata persisteva. Decisi di fare un lungo bagno caldo, per cercare di calmarmi.

Scesi alle otto per fare colazione, dove trovai solo Leila. «Dove sono...»

«Stanno cercando nuove guardie», rispose, masticando un biscotto. La reazione che aveva avuto la notte scorsa era stata fin troppo eccessiva, ma decisi di non dire nulla. Mi sedetti di fronte a lei e addentai del pane con su la marmellata.

La colazione passò in silenzio e dei fratelli non vi era traccia, ma non potevo pretendere di vederli; volevano evitare a tutti i costi che ciò si verificasse nuovamente e non potevo dargli che ragione. Ma una domanda mi tormentava: come poteva un solo uomo uccidere tutte quelle guardie? Doveva avere un complice.

Uscii nel giardino, dove tutto sembrava tranquillo, finché non udii un chiacchiericcio proveniente dall'esterno del castello. Dopo pochi minuti vidi entrare una decina di uomini, tutti seguivano Abel, che li fece entrare in casa; forse erano le nuove guardie.

Restai seduta sotto al mio albero per quasi tutta la mattina, esercitandomi con la lettura; avevo paura di tornare in camera mia, quella stanza non mi piaceva più come una volta.

«Buongiorno», sentii.

Alzai il viso verso la figura dinanzi a me è trovai un ragazzo di vent'anni con indosso una divisa. «Buongiorno.»

«Mi permetta di presentarmi, sono Edward.»

«Piacere di conoscervi, io sono Meredith, dalla vostra divisa suppongo siate una delle nuove guardie.»

Annuì, «ci tenevo a conoscere coloro che dovrò proteggere.»

Sorrisi, «provenite sicuramente dall'interno, non avete incontrato Leila?»

«Chi? Quella buffa ragazza seduta ai divani? Pensavo fosse la cameriera che si permetteva un riposo.»

Sgranai gli occhi e risi di buon grado, seguita da lui. «Perdonatemi, non lo dite ai padroni.»

«State tranquillo, il vostro segreto è al sicuro con me.»

Si chinò alla mia altezza, «avete dei bellissimi occhi, siete la sorella dei padroni?»

«No, sono il...sono un'ospite», abbassai il viso. Non potevo definirmi un legame, era un umano e sicuramente non conosceva la loro maledizione.

«Ciò significa che presto andrete via», disse, sedendosi accanto a me. Mi scostai leggermente per permettergli di sedersi all'ombra.

«Lo spero», borbottai a bassa voce, ma riuscì a sentirmi. Non disse nulla, ma si limitò a lanciare un'occhiata sul libro che stavo leggendo.

«Cenerentola?», ridacchiò.

«Io...si, non conoscevo la storia.»

«È una favoletta che si legge ai bambini.»

Rimasi in silenzio e abbassai lo sguardo. Non potevo dirgli che i miei erano analfabeti, sarebbe stato troppo imbarazzante. Si schiarì la voce e la fece diventare più cupa, iniziando a leggere il dialogo del principe.

Risi quando fece strane smorfie e continuò a leggere, quando toccò alla parte di cenerentola, decisi di leggere io e così iniziammo un gioco di recitazione, finché non finimmo la storia ridendo.

Edward era un ragazzo veramente simpatico e per la prima volta, da quando ero giunta in quella casa, avevo riso.

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