Prologo - L'Arena dei Maghi

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Il sole splendeva sull'Arena dei Maghi, costringendo l'uomo a socchiudere gli occhi per poter vedere i Dieci Maghi del Concilio riuniti dall'altra parte dell'anfiteatro, sotto il palco con lo stemma del Re.

Ignorò le centinaia di maghi e novizi seduti sugli spalti di pietra. Parlavano tutti ad alta voce, cercando di sovrastarsi gli uni con gli altri.

Sorrise. Non c'erano confini tra gli spalti dell'arena circolare, eppure poteva vedere dove terminava una gilda e iniziava l'altra.

A causa di antiche rivalità, i maghi delle diverse gilde rifiutavano di mescolarsi. Piuttosto che sedersi accanto ai rivali, preferivano ammucchiarsi in alto e rimare in piedi durante quella lunga giornata di attesa.

«Pensate che arriverà?» chiese il suo compagno, usando un fazzoletto per asciugarsi il sudore dal viso arrossato. Anche lui sudava copiosamente, anche se preferiva mantenere un contegno. Aveva dimenticato quanto potesse essere cocente il sole di Lanica in estate. «Il termine è quasi scaduto».

L'uomo guardò ancora una volta i dieci maghi del Concilio. Mangiavano e bevevano sotto la tettoia di stoffa rossa, mentre nell'arena, i Signori e le Signore delle Gilde attendevano stoici il ritorno dei ragazzi che tentavano l'esame per diventare mago.

«Arriverà» disse senza distogliere lo sguardo. Aveva riconosciuto un paio di Signori e desiderava il loro sangue, ma gli era stato ordinato di non far nulla e riportare gli eventi. Se aveva ragione chi gli aveva dato gli ordini, la situazione sarebbe cambiata in loro favore molto presto. «Ha tempo fino al tramonto» rispose atono.

Si sentì bussare contro le grandi porte di ebano e bronzo dorato e tutti i maghi trattennero il fiato. Una ragazza con una lunga treccia castana avanzò nell'arena, trascinando il piede destro sulla sabbia.

«È ferita, madre?» chiese la bambina seduta accanto all'uomo.

Lui aguzzò la vista, studiando sulla gamba della ragazza. Dallo strappo dei pantaloni marroni poteva vedere un'ustione. Il sangue rosso vivo colava su quello scuro e secco, inzuppando i pantaloni e gli stivali.

«Ce la farà» sussurrò la madre, stringendola tra le braccia. «è una Luminosa. Niente può fermare la nostra gilda» concluse la donna con orgoglio.

L'uomo distolse lo sguardo dalla bambina per spostarlo sulla madre. I lunghi capelli neri erano raccolti in una treccia che le arrivava fino a metà schiena, adornati con un nastro di seta azzurro chiaro, in tinta con il vestito leggero. Tra le folte sopracciglia scure spiccavano un paio di fieri occhi dorati.

Una Luminosa.

Come tutti quelli attorno a lui.

Nascondersi tra i membri di quella gilda era stata una buona idea. Molti dei maghi presenti non lo riconoscevano più e, a causa degli occhi dorati, lui e il suo compare non avrebbero potuto mescolarsi con nessun'altra gilda.

L'ovazione dei maghi attorno a lui e i fischi che provenivano dall'altra parte dell'arena lo strapparono ai suoi pensieri. Ricordava quei momenti, li aveva vissuti anche lui, ma non si sentiva più partecipe. Ora li detestava.

La giovane maga consegnò l'oggetto della sua missione alla sua Signora che le impresse il Marchio del Mago sulla mano destra.

I Luminosi festeggiarono.

Era fonte di orgoglio avere una nuova maga nella gilda, anche se era poco più di una bambina che aveva appena rischiato la vita per il divertimento del Concilio e di un Re che nemmeno le prestava attenzione, seduto sul suo palco.

«Questa è la seconda che torna» disse il compagno dell'uomo scostando due ragazzi che provarono a coinvolgerlo in un abbraccio. «È passata una settimana da quando è iniziata la competizione e sono tornati solo in due. E se lui non tornasse?».

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