Il refettorio delle miniere era una grande taverna.
Non ci poteva essere descrizione migliore. Era composto da lunghi tavoli di legno massiccio consumati dal tempo come nelle taverne di Aldia. Le panche erano lucidate dalle centinaia di persone che vi si erano sedute sopra.
C'era cibo ovunque. Sui tavoli, sulle panche, sui pavimenti, sulle persone, perfino sul soffitto della caverna in cui era stata ricavata quella stanza.
Non potevo crederci.
Le persone erano mandate nelle miniere perché ritenute pericolose e dovevano pagare per i propri crimini. Dovevano essere afflitti, pentirsi delle loro azioni. Invece mangiavano, ridevano e bevevano come se non ci fosse un domani.
«Sorpresa?» mi domandò Leif.
Mi tese la mano invitandomi a seguirlo. Nonostante i ceppi sembrava che fosse appena arrivato a una festa.
Quella gente festeggiava. Cosa, poi, era un mistero.
«Molto». Non gli presi la mano, ma gli feci cenno di avanzare.
Mentre ci muovevamo tra le panche sentivo dei mormorii alle mie spalle e commenti lascivi. Un paio di persone fecero qualche invito troppo esplicito, ma tacquero, affondando il viso nei loro boccali, quando Leif si voltò a guardarli storto.
«La prima volta che sono entrato qui dentro anche io mi chiedevo come potessero essere così felici. Perché festeggiassero e non venissero puniti. Conoscendoli, mi sono reso conto che veniva mandato qui chi compiva crimini minori. Come piccoli furti» disse alzando la mano, accusandosi da solo.
Non facevo altro che sgranare gli occhi a destra e a sinistra per la sorpresa. Guardavo tutto, annusavo tutto, sentivo tutto. Dalle risate alle canzoni da taverna.
Quando qualcuno mi braccò afferrandomi per il polso ero pronta a scagliarlo dall'altra parte della sala, ma quello mi mise sotto il naso un boccale di birra scura e schiumosa. «Bevi, ragazzina. Hai l'aria di chi ha bisogno di rilassarsi».
Era il tipo della fucina che mi aveva accolto tirandomi un martello. Gli presi la birra dalle mani non sapendo bene cosa farci. Perché i detenuti avevano della birra? Perché pochi metri più in là c'era un intero maiale arrosto?
Leif mi tolse il boccale dalle mani. «Ergon, è da un po' che non ti si vede quaggiù» Scolò tutta la birra in due sorsi.
L'uomo chiamato Ergon gli lanciò un'occhiata in tralice. «Ogni tanto scendo a mangiare anche io. E Aras mi ha chiesto di venir a controllare alcuni sostegni».
Mi feci più vicina, incuriosita. «Ma non ci sono altri Maghi del Metallo a controllarli?».
Ergon e Leif mi fecero un sorrisetto sornione.
«Ogni magia è unica, ragazzina» mi disse Ergon. «Lo stesso vale per la lavorazione del metallo. Tutti i nostri maghi sanno lavorarlo, capirlo e sentirlo, ma ottengono gli stessi risultati con un lavoro fatto da un altro? No, assolutamente no. Ogni musica che sprigiona la nostra magia è unica. Quando infondi la tua magia in un oggetto avrà sempre una parte di te. Devi controllarlo e prendertene cura come faresti con te stessa. E tu,» disse rivolgendosi a Leif con sguardo truce «hai intenzione di fondere ancora i miei picconi?».
Leif gli fece un ghigno a metà tra il divertito e l'imbarazzato. «A volte mi lascio andare. E poi come fai a dire che sono stato io? Ci sono altri due Maghi del Fuoco».
Gli occhi grigi di Ergon lo trapassarono come avrebbe fatto una spada. «So riconoscere il tuo tocco. Vedi di non fare del male alla piccoletta».
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Vento
FantasyIl Regno di Lanica è una terra amata dagli Spiriti. Nonostante la loro presenza sia scomparsa da tempi immemori, non è sparita la loro magia, che con il passare dei secoli ha impregnato la natura e gli uomini. I loro figli prediletti vengono chiama...