I Maghi del Sangue

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Sfogliai il libro che Tehor aveva scritto senza accorgermi che aveva cominciato a nevicare e il vento si era acquietato.

Vandrin era alla finestra e guardava i fiocchi che scendevano in silenzio, incantato come un bambino.

«Ogni anno,» dissi passando l'indice sui disegni minuziosi che Tehor aveva fatto «la mia gilda fa una festa in inverno. Quando le giornate iniziano ad allungarsi e il sole colpisce il ghiaccio, le foglie coperte di brina si illuminano dei colori dell'arcobaleno. In quei giorni la mia Signora organizza il Ballo dei Cristalli per ricordarci che dopo le tempeste arriva sempre il tempo sereno».

«Abbiamo una festa simile in primavera. Festeggiamo l'arrivo della bella stagione. Tarion si riempie di fiori. Le fanciulle si adornano di nastri colorati e cuciono i fiori sui vestiti presentandosi alla città. La chiamiamo la Festa dei Fiori e, in genere, termina con parecchi matrimoni».

Pensai a un particolare che Tehor aveva detto a sua madre. «Tuo fratello mi aveva detto che si sarebbe sposato in primavera». Pensare a quel momento sulla riva del fiume mi fece male.

«Alla prossima Festa dei Fiori» confermò lui. «Quest'anno nessuno di noi parteciperà, nemmeno come membri della guardia cittadina. Sia io che Carim rimarremo alla gilda. Abbiamo deciso così per rispetto verso nostro fratello».

«Capisco». Dicevo sul serio. Capivo il suo dolore. La Festa dei Fiori avrebbe dovuto essere il momento più importante nella vita di Tehor.

Accarezzai i disegni fatti da lui chiedendomi come potesse non mostrare mai il minimo sentimento e fare cose tanto belle. Le piume degli uccelli erano perfette e potevo distinguere le venature delle foglie e la corteccia degli alberi. Ogni particolare era stato reso nel dettaglio e mi sarei aspettata che il disegno potesse prendere vita da un momento all'altro.

Doveva aver passato ore a selezionare e a tradurre tutte quelle storie nella lingua comune e a decorarne i titoli. Ognuna di esse mi ricordava uno dei tratti dei suoi fratelli. Nell'Usignolo e il Cacciatore vedevo Vandrin. Il Sarto Intraprendente mi ricordava Carim.

Tutte le storie erano state selezionate con cura. Alcune di esse provenivano da altri regni, come quella del Principe e della Volpe di Fuoco che arrivava da Axia o come quella della Foresta Addormentata Sotto il Mare di cui non avevo mai sentito parlare prima. Quest'ultima aveva disegnata una mappa di Lanica a fine storia, ma al posto dello Stretto di Enover e del Mar di Atlis c'era una foresta.

«Un bosco in attesa nel tratto di mare tra Lanica e Sitira» mormorai perdendomi nella sua grafia.

Tehor scriveva in modo diretto, arrivando al cuore di chi lo leggeva. Mi vedevo camminare nel silenzio delle profondità marine, con le dita dei piedi che affondavano nella sabbia bagnata e i pini che si piegavano alle correnti. Il blu del mare ci faceva da cielo. I cespugli avevano attecchito tra le rocce scure insieme ai coralli, mentre gli uccelli e gli insetti erano appollaiati sui rami e guardavano i pesci nuotare e sfiorarli. Erano immobili, in attesa che la foresta risorgesse. L'intera foresta era immersa nel sonno e aspettava di essere svegliata e riportata sotto il sole.

«Rin». Van mi scosse una spalla e io tornai a fissare il libro che tenevo in grembo.

Non avevo idea di quanto tempo avessi passato persa in quella fantasia, un minuto o un'ora, sapevo solo che la sensazione della sabbia sotto i piedi era stata reale.

«Cosa c'è?» domandai brusca. Ero stizzita per essere stata disturbata.

«Avevi lo sguardo perso. Hai fissato il vuoto per quasi dieci minuti, nonostante ti chiamassi non rispondevi». Mi prese il libro dalle mani e studiò la pagina che stavo leggendo. Gli si formarono due piccole rughe agli angoli della bocca. «Questa storia,» disse chiudendo il libro e mettendolo via «è l'unica di cui non ho trovato riscontro in altri libri, né di Lanica né di altri regni. Credo che Tehor se la sia inventata».

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