Raggiri e Manipolazioni

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Tehor aveva avuto ragione nel chiamarla Sala delle Mappe.

Prendevo papiri e pergamene a caso e davo un'occhiata veloce prima di rimetterli al loro posto. Su ognuna era disegnata una mappa.

Tehor, invece, sembrava non far caso al fatto che per ogni conoscenza che acquisiva ne perdeva altrettanta. Con quel suo modo impassibile mi trascinava da una parte all'altra della stanza studiando la disposizione dei papiri e annuiva dopo averne consultati alcuni.

Diventava più cupo ogni volta che alzava lo sguardo sull'affresco che rappresentava Lanica e le due isole separate da uno stretto.

«Per quanto possa sembrare impossibile...» mormorò facendo un po' più di luce. Guardò oltre la sua spalla, percorrendo con gli occhi i rilievi della pesante porta nera dietro di noi. «Ma era uno, giusto?» domandò a nessuno in particolare.

Non avevo capito la domanda, anzi, a dir la verità non avevo capito nemmeno a cosa si stesse riferendo.

«Eh?».

Mi squadrò un attimo, come se si fosse accorto in quel momento che fossi lì, per poi tornare a fissare prima la porta e l'affresco, fingendo che non esistessi.

«Quindi la risposta,» proseguì senza degnarmi di una seconda occhiata «sta qui». Illuminò ancora di più l'affresco, mettendo in risalto i simboli sulla mappa. «Le leggende sono vere». Mormorò quelle parole con stanchezza. Le spalle erano curve, come se un peso improvviso gli fosse gravato addosso.

Studiai meglio i simboli che lo avevano colpito, spingendolo via per mettermi al posto suo. Le città dove avevano sede le gilde non erano rappresentati con i blasoni delle provincie, ma con i simboli stessi delle gilde. Dove sorgeva Aldia, al posto di un falco che sovrastava due mani che si stringevano, c'era il Falco Sacro in picchiata: il marchio che i maghi della mia gilda portavano impresso sulla pelle.

Lo stesso valeva per tutte le altre città.

Mentre percorrevo il dipinto con gli occhi mi sembrava di perdere qualcosa, come se una mano gelida si stesse muovendo tra i miei ricordi e districasse i fili della mia vita per portarmi via quelli a cui tenevo di più.

«C'è qualcosa qui...» mormorai allungando una mano verso il muro. Sapevo che era importante imprimermi quel disegno in testa. Mi sembrava familiare.

Se fossi riuscita a fare il collegamento mancante avrei saputo perché quell'affresco mi attirasse così tanto.

«Mavaras». Feci per sfiorare la zona dove si trovava la capitale a cui era negato l'accesso ai maghi. Dalla sua fondazione nessuno mago aveva messo piede nella Città Interna protetta dalle alte mura. Ma su quell'affresco Mavaras era rappresentata circondata dai simboli delle dieci gilde.

Una mano si posò sui miei occhi e un'altra mi prese per la vita, tirandomi via di peso. «Smettila di guardare, Uccellino, o non ricorderai più il tuo nome».

«Cos'è quell'affresco?» domandai lottando contro la sua presa.

«Non è importante».

La luce scemò e Tehor mi lasciò andare con una piccola spinta, rischiando di farmi cadere. «Dobbiamo proseguire» disse. «La biblioteca è grande e abbiamo perso fin troppo tempo».

Spostai il peso da un piede all'altro. Non mi piaceva il repentino cambiamento in Tehor, finora era stato strano e antipatico, ma dopo aver studiato l'affresco appariva teso.

«Non credi che in questa stanza possa esserci una mappa dettagliata della biblioteca?» suggerii.

Non volevo uscire dalla Sala delle Mappe, avevo bisogno di guardare ancora l'affresco. Se fossi riuscita a distrarre Tehor ancora un po', forse avrei potuto studiare quella mappa di Lanica e carpirne il segreto. Continuava a reclamare la mia attenzione. C'era qualcosa di antico e nostalgico dentro di me che continuava a rispondere a quella chiamata silenziosa, come se fosse sempre stato in attesa del momento ideale per venire fuori.

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