La Sala delle Mappe

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Incastrati tra due fuochi.

Chiunque avesse pronunciato quella frase non doveva averla intensa nel senso letterale del termine.

Se lo avessi trovato, gli avrei fatto provare cosa significasse stare nascosti dietro a un muro di roccia creato da un Mago della Terra insopportabile, mentre due gemme lanciavano palle infuocate a intermittenza. Quello voleva dire incastrati tra due fuochi.

«Ti stai annoiando, Uccellino?» mi chiese Tehor.

L'ennesima palla di fuoco si schiantò contro il muro. Il caldo era atroce, peggio dell'attraversata nel deserto. Il sudore mi appiccicava i capelli al collo e alla fronte e la gola riarsa dalla sete mi rendevano irritabile. Molto irritabile.

«No, per nulla» risposi con un ghigno. «Perché non torniamo indietro?».

La via alle nostre spalle era libera, bastava girare l'angolo e seguire lo stretto corridoio per liberarci dalla trappola.

«Per finire di nuovo nella serra delle piante stritolatrici? Non hai sacrificato già un coltello e uno stivale lì?» mi canzonò. «Vuoi regalargli anche l'altro?».

Guardai sconsolata il mio piede nudo.

Avrei voluto conoscere chi avesse trasformato una sezione della biblioteca in una piccola palude. Dopo aver messo un piede in quella stanza un viticcio mi aveva afferrata sollevandomi in aria e Tehor era stato trascinato con me, slogandomi la spalla per il peso, per poi venir sbattuti entrambi contro il terreno umido. Per liberarmi di quella liana avevo dovuto abbandonare uno stivale e Tehor era stato costretto a sistemare la spalla a entrambi. Eravamo riusciti a uscirne vivi perché aveva usato la sua magia per creare un corridoio sicuro attraverso i viticci.

«Stai pensando alle piante?».

Le sue labbra si piegarono soddisfatte per aver vinto di nuovo i nostri piccoli scontri di volontà e appoggiò la testa contro il muro che ci difendeva. Anche i suoi capelli erano scuri di sudore e appiccicati al volto, ma al contrario di me, lui sembrava uscito vincitore da una battuta di caccia.

«Allora,» cominciai lanciando un'occhiata oltre il muro «che facciamo?».

Non mi aspettavo una vera risposta, indietro non potevamo tornare ed eravamo incastrati in mezzo al corridoio.

«Si accettano suggerimenti o idee» mi rispose chiudendo gli occhi. Le sue spalle erano tese e il sorriso forzato. Forse iniziava ad accusare la stanchezza.

«Potrei saltare fuori e usarti come scudo». Tirai fuori il mio pugnale e iniziai a pungolare la catena che ci univa, usando un po' di magia per congelare gli anelli nella speranza che si spezzassero. Purtroppo non successe nulla. Il metallo sembrava refrattario ai miei incantesimi.

Tehor scosse la testa, trattenendo una risata. «Se ci fosse stata questa possibilità l'avrei già usata. Ricordi? Io muoio, tu muori. Proposta scartata». Tehor fissò la punta del coltello con la quale stavo giocherellando e si grattò l'accenno di barba sul mento. «Quanto è buona la tua mira?».

«Buona» risposi piatta. I maghi della mia gilda avevano un'ottima mira e difficilmente sbagliavamo bersaglio. Faceva parte del nostro addestramento e ci allenavamo fin da bambini.

«Se io ti copro, riesci a congelare le Gemme di Fuoco con quello?» chiese, indicando il pugnale.

Fissai la lama. Non era un coltello da lancio e non avrebbe fatto nemmeno un giro prima di arrivare al bersaglio. «Impossibile. Il coltello è sbilanciato».

Ormai non contavo nemmeno più le esplosioni e non sussultavo ogni volta che le sentivo. Una parte di me si era abituata a quel suono che rimbombava e faceva tremare le pareti.

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