La Grande Biblioteca di Nartos

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Con la lettera stretta in una mano e il rinmose nell'altra, salutai Akkar prima di correre verso i miei appartamenti.

Spalancai la porta, mandandola a sbattere contro il muro di pietra bianca scatenando un paio di strilli e il battere di un pugno sulla parete.

«Piantatela di fare rumore!». La voce infuriata di Anya si sentì attraverso i sessanta centimetri di parete. «Stavo dormendo. Ho fatto la ronda!».

«Scusa!» gridai a mia volta, slacciandomi la cintura e togliendo la camicia che avevo rubato a Fynir quella mattina.

La lanciai su una sedia in camera sua, se l'avessi lasciata in camera mia o nell'anticamera comune, mi avrebbe uccisa.

Sgombrai la scrivania, ammucchiando libri e pergamene in un angolo senza fermarmi a raccogliere quelle che cadevano, aggiungendo disordine su disordine.

Con il cuore in gola ruppi il delicato sigillo del falco pellegrino che stringeva un fiore tra le zampe. Non vedevo da mesi quel simbolo.

Man mano che leggevo la lettera di mia madre le mie orecchie divennero calde, poi ghiacciate e terminai le ultime righe con un dolore acuto allo stomaco.

«Ti odio!» Strappai la lettera fino a ridurla in briciole. «Come ti permetti!».

Per una volta avrebbe potuto scrivermi per dirmi che mi avrebbe fatto visita, invece non aveva fatto altro che parlarmi di come scorressero le sue giornate ad assistere e consigliare l'ambasciatore di Lanica ad Axia insieme ai maghi delle altre gilde.

Aveva perfino perso tempo a scrivermi una lunga ramanzina sul mio comportamento e sul fatto che mi fossi addormentata durante le lezioni di mediazione. Marvis, l'insegnante, le aveva riferito che non facevo altro che distrarmi e prendere sonno a tratti.

Secondo mia madre dovevo ricordarmi come un mago fosse un mediatore con gli altri popoli, come i consiglieri e gli ambasciatori, e dovevo prestare più attenzione a ciò che diceva Marvis. Peccato che lei non riuscisse a dialogare con la sua stessa figlia, a parte un paio di lettere l'anno.

Guardai la busta che Akkar mi aveva consegnato. La carta ingiallita era macchiata di terra e di qualcosa di nero che preferii non approfondire, ma sembrava sangue rappreso. Il mago aveva tenuto al sicuro quella lettera per consegnarmela e io l'avevo stracciata in meno di un minuto.

Raccolsi tutti i pezzettini di carta che trovai. Mia madre voleva una risposta e, per tutti gli Spiriti, gliela avrei mandata.

Li infilai in un sacchettino e andai sul terrazzo. Con un basso fischio richiamai uno dei falchi bruni che giravano nei giardini della gilda.

«Dovresti portare la risposta a mia madre». Evocai nella mente l'idea che avevo di mia madre e del palazzo di Axia, il falco avrebbe fatto il resto e si sarebbe informato per me. «Lo puoi fare?».

L'animale emise un verso stridulo e mi diede la coda. «Lo so che non è divertente e preferiresti fare da supervisore ai novizi, ma ho bisogno del tuo aiuto».

Altro verso di disaccordo da parte sua. Quanto testardi erano i falchi bruni? Le civette notturne collaboravano di più, ma ora dormivano.

«Posso corromperti con una battuta di caccia?» provai esasperata. Stavo contrattando con un falco.

Il falco si voltò nella mia direzione, interessato. Mi scrutò con uno dei suoi profondi occhi neri, sfidandomi a provare a ingannarlo. Il becco aguzzo era un deterrente. Bail si era fatto beccare per averne sfidato uno, sulla mano aveva ancora il segno. «Ti offro le parti migliori di tutto quello che abbattiamo».

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