Segreti che Non si Possono Conoscere

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Scattai nella direzione da cui erano arrivate le urla.

Stavo per uscire dalla stanza, ma Tehor mi si parò davanti. La catena che ci univa oscillò tra noi. «Non puoi» disse piano.

Strinsi i denti, desiderando riprendere la conversazione che le grida avevano interrotto, ma mi fermai.

Non era il momento.

«Non so che razza di manipolatore tu sia. Non mi importa del libro, della biblioteca o di essere senza magia,». Estrassi la spada e gliela puntai contro il petto, all'altezza del cuore «ma levati dai piedi o ti trafiggo».

«Non posso farlo».

«Ma non hai un cuore? O è di pietra anche quello, oltre alla tua magia?».

Non ero mai stata tanto arrabbiata in vita mia, ma la minaccia era a vuoto perché se lui fosse morto, di riflesso mi sarebbe accaduta la stessa cosa.

Le grida risuonarono di nuovo nella biblioteca, più atroci e più acute che mai, e lo odiai come non avevo mai fatto prima per non avermi lasciato andare. «Levati. O ti garantisco su tutto ciò che amo che ti trascinerò con me. E se i miei amici sono feriti, ti ripagherò del loro dolore».

Per un attimo il guizzo di un sorriso gli balenò in volto, sfidandomi a mettere in pratica quelle parole, ma poi tornò a essere una maschera di pietra.

«Dicevo,» La sua voce era bassissima, ma ero così tesa che riuscivo a sentirlo come se avesse gridato. «non puoi combattere così». Afferrò un anello della catena facendola oscillare davanti ai miei occhi. «Nessuno dei due può aiutare gli altri conciati così».

«Non mi interessa!».

Abbassai la spada con la mano che tremava, scossa dalla mia stessa impotenza. La biblioteca aveva messo in luce quanto fossi inutile nelle situazioni critiche. Finora aveva fatto tutto Tehor: i golem, le armature, le Ombre, le piante. Tutto.

Dovette avvertire la mia esitazione perché il suo sguardo si addolcì. «Anche io sono preoccupato, ma ora devi fidarti di me».

No! Non posso, urlai dentro di me. Mi aveva usata, i miei amici erano in pericolo e lui non ci aveva detto delle trappole. Non avrei più potuto fidarmi di lui.

Di nuovo sentii le urla strazianti di Fynir e tremai ancora di più. Tehor mi tese una mano. «Ora o mai più, Uccellino. Devi farlo, se vuoi salvarli».

Gliela presi. Avevo bisogno della sua forza.

Mi strinse a sé di nuovo e stavolta non mi impedì di guardare. Mi teneva contro il suo petto con una mano sulla schiena e l'altra sul fianco. «Ripensa a cosa è successo quando abbiamo collaborato. Cosa hai provato quando gli anelli sono scomparsi».

Ci provai più e più volte, ma oltre ad avere la testa annebbiata dalla preoccupazione, quel piccolo momento di euforia era stato cancellato da ciò che aveva fatto.

Quella sensazione non sarebbe tornata più, riuscivo solo a pensare a quanto fosse stato infido e manipolatore.

«Rin,» sussurrò quando il cerchio magico si illuminò sotto i nostri piedi «a tutto c'è una spiegazione. Anche per le cose che più ci fanno male. Ora sono più importanti i tuoi amici o odiarmi?».

I miei amici erano più importanti. Il loro pensiero era un punto fermo che niente avrebbe mai potuto cancellare. Le loro voci, gli scherzi, le nottate passate a ridere e a bere erano parte di me, marchiati a fuoco nel mio cuore.

Erano più importanti di qualsiasi litigio.

Pensai a tutto quello che aveva fatto di buono Tehor in quelle ore. Mi aveva sostenuto quando ero esausta, mi aveva salvata dai golem che avevano cercato di staccarmi la testa. Sentii il ciondolo sul petto e sorrisi: mi aveva dato due mezzi per difendermi.

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