La Nobile Casata dei Car'Leindros

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Le torri della gilda mi avevano sempre aiutato a rilassarmi.

Ogni passo verso l'alto mi faceva sentire più leggera. I brutti pensieri venivano trascinati via dal vento, che diventava sempre più impetuoso man mano che salivo.

Quando avevo bisogno di pensare e stare sola mi rifugiavo nel corridoio deserto di una torre e ascoltavo il vento tra le pareti di pietra e le travi del soffitto perdendomi nel panorama che solo un luogo alto poteva donarmi.

Con Tehor accanto non riuscivo a rilassarmi. Ogni volta che il vento sortiva qualche effetto rilassante su di me la voce del mago mi faceva tornare con i piedi per terra.

Accontentare la sua richiesta di visitare la mia gilda era sia un onore che un'offesa. Lui era un nobile, discendente dei Car'Leindros, una delle più importanti e influenti famiglie del regno. Perfino io capivo le implicazioni della sua presenza qui e le implicazioni negative nel caso lo scontentassi. La sua famiglia possedeva molti terreni situati al confine con Axia e gestiva le reti commerciali con quel regno.

Alcuni pettegolezzi affermavano che rispetto ad altre casate, la loro magia non si fosse mai mescolata alle altre. Erano rimasti fedeli alla Gilda della Terra per generazioni, selezionando matrimoni e alleanze per diventare sempre più potenti. Se tra di loro ci fosse stato un qualche non-mago c'erano buone possibilità di vedere un Car'Leindros sul trono.

La sola idea mi fece venire i brividi.

Gli scoccai un'occhiataccia.

Camminare accanto a lui per i corridoi della mia gilda mi aveva fatto venire la nausea. I miei amici mi avevano guardato con apprensione, Bail con rabbia, come se fosse stata colpa mia per la situazione in cui mi ero cacciata. I mormorii degli altri novizi avrebbero fatto impazzire chiunque e senza pensarci avevo guidato Tehor verso una delle torri più alte.

In cima non c'era nulla a parte le grandi finestre ad arco da cui si poteva osservare sia Aldia che le montagne di Orvotosk, che segnavano il confine con Cambria e Ravatosh.

«Durante la guerra contro Cambria c'erano sempre degli uomini di guardia su queste torri. Al suo termine il re diede alla città il titolo di Presidio» spiegai in un sussurro.

«Lo sapevo già» mi rispose annoiato Tehor. «A dieci anni lessi Lanica sotto il regno del re Trasec II».

Non spiegai altro. Lo sapeva già.

Lui si guardò intorno in silenzio, appoggiando la schiena contro l'arco della finestra e fissò ostinato davanti a sé. Dalle torri c'era la più bella vista che la città potesse offrire ed erano il mio rifugio quando avevo bisogno di stare sola. Era ovvio che potessero incantare anche lui.

«Capisco perché ti piace venire qui». Continuò a fissare con insistenza le montagne. «La vista è magnifica».

Mi irrigidii, cercando un significato nascosto in quelle parole con lui che mi studiava con un sorriso.

Le montagne erano coperte di verdi boschi lussureggianti, ma dietro quella prima fila di alture ce n'erano altre più alte e imponenti, dove le cime erano sempre ricoperte di neve e le rocce frastagliate si spalancavano sul vuoto dei crepacci. Il vento freddo che scendeva da quelle montagne ci regalava estati fresche, allontanando il calore dei venti afosi del sud e portava la neve in inverno.

Rimanemmo in silenzio.

Cercavo il mio equilibrio contemplando le montagne, mentre lui non faceva altro che sorridere.

«Ti ho già detto che il tuo vestito mi ha sorpreso?» domandò. Serrai la mascella. Tehor si mosse verso di me con il suo modo aggraziato. «Possiamo parlare come due persone civili. Ti ho fatto un complimento».

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