I Mostri di Cohir

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Dalla scomparsa di Tehor mi era capitato diverse volte di pensare al passato.

Di pensare a me bambina che vedeva la schiena della propria madre allontanarsi sempre di più senza mai voltarsi e sapevo che mi stava lasciando e che non l'avrei più rivista.

Mi era capitato di pensare a mio padre, per quante ricerche avessi fatto non ero mai riuscita a trovarlo. Nessuno alla gilda sapeva dirmi il suo nome o descrivermi il suo volto. Mia madre aveva sempre ignorato le domande che avevo posto su lui e mi aveva rimproverato, dicendomi di concentrarmi sulla magia e non su un uomo. Non lo aveva mai chiamato marito, amante o padre. Solo un uomo, come se lui non valesse più di così. Sembrava una macchia nella sua vita di successi.

Non c'era mai stato un genitore a insegnarmi il valore della vita e a dirmi quanto la morte potesse essere definitiva.

Quanto fosse difficile andare avanti dopo.

Elania, per quanto dolce, non aveva mai affrontato l'argomento con me, forse perché non avevo nessuno che potessi perdere.

Con il passare degli anni avevo visto Mend pallido il giorno in cui suo nonno morì di malattia e vecchiaia. Vyniana disse che aveva concluso bene la sua vita, ma era rimasta rigida per giorni, mentre la gilda portava i suoi saluti a un vecchio mago di cui conoscevo appena il nome. La pira funebre mi aveva incuriosito come poteva esserlo una bambina di dieci anni e come le fiamme si spensero non pensai più al nonno di Mend e non capii perché stessero tutti tanto male.

Avevo visto altri maghi bruciare sulla pira, sia giovani che vecchi, avevo sentito le urla disperate delle madri quando Elania comunicava loro che avevano perso i figli e avevo visto figli piangere i genitori.

In quei momenti mi stringevo tra Fynir e Mend, assicurandomi che fossero caldi e vivi e guardavo le fiamme alzarsi verso il cielo.

Le lacrime degli altri non mi toccavano, mi sentivo triste per loro, ma mi bastava guardare i miei amici per essere segretamente felice. Loro erano con me e tutto sarebbe andato bene.

Guardar morire una persona a me cara era una fantasia oscura sulla quale non mi soffermavo. Era un pensiero che non mi raggiungeva, sul quale ridevo tirando pezzi di pane duro alle papere nel fiume insieme a Mend, con Fynir che leggeva sotto gli alberi.

Era un'idea ridicola. Sciocca.

Finché non è arrivato il dopo.

Il mio dopo è iniziato nel momento in cui le ginocchia avevano ceduto sulla riva di un fiume guardando il nome di una bambina inciso su un sasso.

La morte è straziante.

Non tanto per chi va, ma per chi resta. È un pensiero fisso che scava, fa nascere incubi e porta domande senza risposta facendoti sentire impotente.

Sulle rive dell'Errin mi sono resa conto che sarei andata avanti con un nuovo modo di vedere le cose. Il mondo mi era apparso diverso, con suoni e odori cambiati, anche se erano quelli di prima.

Ero io a essere cambiata. Avevo percepito tutto in modo più intenso, come se cercassi di vivere anche per Marilon e mi ero chiesta nel buio della notte, se i figli, le madri, i padri, gli amanti si sentissero come me.

Guardando la tomba di Mari avevo capito cosa avesse provato Mend, cosa avessero provato gli altri maghi. Nessuno mi aveva mai detto quanto valore avessero quelle vite e non riuscivo a pensare di dover provocare un dolore simile a qualcuno.

Eppure questo mago vestito di nero mi aveva detto di uccidere con un sorriso sulle labbra. Avrei dovuto strappare figli alle madri, genitori ai figli, fratelli a sorelle sapendo di provocare deliberatamente dolore ad altri.

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