Il Ruggito della Viverna

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Non mi lascerò dominare dalla paura.

Cosa mi era venuto in mente di dire, per tutti gli Spiriti?

Non volevo essere da meno di Tehor, che si era arrampicato sui tetti. Non volevo lasciare che Ryon pensasse fossi una debole novizia che non riusciva ad affrontare quattro sassi appuntiti. Non volevo che Vandrin avesse dei ripensamenti sull'affidarmi la vita di suo fratello vedendomi terrorizzata fino a non riuscire più a muovermi. Ma almeno potevo stare zitta e fare una figura migliore, visto che tremavo come una bambina mentre avanzavo nella Piana dell'Ago.

Alla fine, avevo deciso di affrontare le mie paure.

Alle Miniere di Arga ero riuscita a controllarmi assumendo costantemente delle polveri che diminuivano l'ansia e il senso di soffocamento con delle ripercussioni sulla mia magia. Non volevo affidarmi ad altri per controllare le mie paure, sarebbe sempre stato un punto debole che avrebbero potuto usare contro di me

Mi piegai in due sconvolta da dei nuovi conati.

Ryon era sparito dietro un pertugio, costretto a mettersi di lato per poter andare avanti. Una cosa era certa: di lì non sarei passata.

Era troppo stretto. Troppo angusto. Le rocce sopra le nostre teste erano instabili e sarebbe bastato un nulla perché ci cadessero addosso.

Assolutamente no. Non potevo passare di lì.

Avevo bisogno di aria.

Avevo bisogno di respirare aria che non avesse l'odore stagnate di terra e muffa. Aria che non mi facesse sudare per il caldo nella Piana appiccicandomi addosso i capelli già zuppi. Aria fresca.

Avevo. Bisogno. Di. Aria.

«Rin!».

Aprii gli occhi, sforzandomi di respirare. Il cuore mi batté in gola soffocandomi.

Finii stesa a terra senza avere idea di come ci fossi finita. Il mondo era immerso nel colore giallo e mi danzavano delle macchie nere davanti agli occhi.

Oltre al fischio nelle orecchie il battito del cuore era l'unico suono che potevo sentire.

Due labbra sfocate si mossero davanti a me, ma la voce era inesistente.

Ero diventata sorda.

I capelli rossi di chi mi stava aiutando catturarono e rifletterono la luce del sole. Erano appiccicati alla fronte e ricadevano disordinati su due brillanti occhi verdi. Il petto nudo si alzò e si abbassò ritmicamente, mentre lui usava la magia. Mi formicolava la pelle, dalla schiena alle punte delle dita.

Lo conoscevo.

Conoscevo quelle labbra, quello sguardo attento e quella magia che stava danzando intorno a me. Avevo la sensazione che ci fossimo già trovati in quella situazione.

«Tehor» sussurrai con il suo viso sempre più nitido. «Tehor, mi dispiace».

Mi mise una mano sul volto guardandomi con dolcezza. «Rin, guardami. Respira. Respira. Va tutto bene. Finirà presto».

No, non va bene. Sei stato rapito. Mari è morta, Cara e Atreis sono distrutti e tuo fratello maggiore rischia la vita per salvarti. Non va bene. Non dirmi che va tutto bene. E per amore degli Spiriti, chiamami con quello stupido soprannome che mi hai dato e che tanto odio. Non chiamarmi Rin, ogni volta che lo fai rischiamo di morire.

«Non chiamarmi Rin. Ti supplico non chiamarmi Rin» singhiozzai.

Non ebbi più fiato.

La bocca era piena di soffocante aria calda che sapeva di metallo. Il sapore del sangue.

Il sangue che avevo sputato nello scontro contro Orion e Derrion. Il sangue che usciva copioso dal fianco di Tehor. Il sangue di Mari che non ero riuscita a fermare. Il sangue di una bambina innocente che non ero riuscita a salvare.

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