Le Fiamme e il Gelo sulla Pelle

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Ryon era sparito dopo avermi svegliato all'alba dicendo che sarebbe andato a esplorare più avanti.

Non capivo perché avesse voluto allontanarsi per andare in avanscoperta, a parte pochi animali selvaggi e forse qualche farabutto, era difficile che qualcuno vivesse in mezzo alla neve e al freddo perenne.

«Oggi troveremo il ghiaccio di Ryon, tranquilla» disse Vandrin, passandomi qualcosa da mettere nello stomaco. «Troveremo la viverna e torneremo indietro in tempo».

«Non ne ho ancora molti a disposizione» dissi alzando la testa al cielo.

Grosse nubi nere avvolgevano le cime delle montagne intorno a noi lasciando filtrare poca luce e ancor meno calore. Quelle nubi non si erano mai diradate da quando eravamo arrivati, anzi, ci avevano rovesciato addosso pioggia gelida e neve per due volte e se si fossero abbassate non avremmo più visto nulla.

Le montagne di Orvotosk era quanto di più inospitale avessi mai visto. In certi punti la roccia era affilata come un coltello e il ghiaccio poteva essere nascosto sotto uno strato fine di neve minacciando di rompersi se ci muoveva in maniera incauta. Gli avvertimenti di Vandrin e Ryon, che mi spostava strattonandomi prima che potessi farmi male, mi avevano salvato la vita tre volte.

«Quando pensi che tornerà Ryon?» domandai. Era passata un'ora e di lui non c'era ancora traccia. Iniziavo a essere preoccupata.

«Non c'è bisogno di preoccuparsi. Sa badare a se stesso» disse Vandrin. Se Ryon non fosse tornato, lui non avrebbe pianto una lacrima. Non lo sopportava.

Mangiai un altro boccone di pane, ripetendomi che Ryon era quel tipo di persona che non correva pericoli, sarebbe sempre tornato sano e salvo e non avrebbe chiesto a nessuno di piangere il giorno della sua morte.

Mi vennero i brividi.

Vandrin mi avvolse nel suo mantello di pelliccia stringendomi a sé.

«Non ho freddo» protestai.

Il suo mantello era una barriera contro il mondo e i pensieri cupi che mi attaccavano quando meno me lo aspettavo. Con un viso contro la sua giacca, aspirai appieno il suo odore e mi tranquillizzai.

Le sue braccia mi strinsero ancora di più e mi sfiorò con le labbra i capelli. «Ieri notte ti sei agitata molto, mentre facevo il turno di guardia».

Raggelai e rimasi immobile contro di lui. Non avevo ricordi di quello che avevo sognato e una volta sveglia avevo sperato di aver passato una nottata tranquilla, anche se all'addiaccio.

«Forse avevo freddo e cercavo di scaldarmi». Fu la prima scusa che mi venne in mente, ma non ne ero convinta e lui se ne accorse.

Le dita affondarono nei miei fianchi e tutto il suo corpo si tese contro il mio. «Non mentirmi» sussurrò. «Piangevi, continuavi a girarti. Hai urlato così forte da svegliare Ryoned e non sapevo cosa fare per aiutarti».

Scostò un lembo della mia giacca e mi sollevò la maglia di lana pesante premendo con il pollice appena sotto le costole. Quando mi sfiorò sentii una fitta. «Qui è dove hai sbattuto contro un sasso, mentre ti agitavi».

Scese con la mano fino all'orlo dei pantaloni, passando l'indice sulla pancia seguendo la linea dei vestiti. «Qui è dove il mantello in cui eri avvolta è sceso, lasciandoti scoperta alle intemperie».

Mi premette ancora di più contro di lui. La sua mano era bollente contro la schiena, l'altra mi costringeva ad alzare il viso. I suoi occhi erano dolci e ipnotici.

La barba era cresciuta negli ultimi giorni diventando un vello morbido in cui desideravo affondare le dita. «Qui,» sussurrò, accarezzandomi la guancia dallo zigomo al mento «è dove sono corse le lacrime. E qui,» proseguì disegnando i contorni delle labbra «è dove è uscito quell'urlo che mi ha fermato il sangue».

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