Punizione nelle Miniere

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Le polveri impregnavano l'aria nella zona dell'ingresso alle Miniere di Arga pizzicandomi la gola, mentre le uniche luci arrivavano dalle fucine dei Maghi del Metallo, sempre al lavoro.

Ero partita da un solo giorno e già mi sembrava di aver dimenticato cosa fosse il cielo terso.

Se non fosse stato per la punizione di Vyniana mi sarei recata in uno dei dieci villaggi costruiti a qualche chilometro dalle miniere e avrei incantato le gemme lì.

Non riuscivo a mandare giù che mi avesse spedita in questa valle grigia della provincia di Alicos, anziché in uno dei villaggi qui vicino che custodivano le gemme per conto della Corporazione dei Mercanti e del Concilio.

Mi sarei goduta l'ospitalità degli abitanti come le volte precedenti e la punizione sarebbe risultata più leggera. Invece, stavo lottando contro il fango che risucchiava i miei stivali, lasciandosi dietro una grigia scia melmosa.

Mi strinsi la sciarpa attorno alla bocca e al naso per filtrare l'aria. «Sangue di Amatiel!» imprecai sotto voce quando scivolai, sporcandomi i pantaloni e le maniche della tunica fino ai gomiti.

A parte la mia stessa voce, l'unico altro suono era il regolare martellio e lo sfrigolare dell'acqua sul metallo bollente. Nessun canto degli uccellini, nessuna voce umana. Perfino il vento era immobile, soggiogato dall'aria stagnante che avvolgeva le rocce.

Mi avvicinai alla fonte del suono che sentivo, non sapendo in che direzione andare né con chi parlare, Vyniana mi aveva costretta partire prima del tramonto senza darmi informazioni.

Mentre avanzavo ripensai alla conversazione che avevo origliato senza trovare un nesso logico. Ci avevo pensato tutto il giorno. Cosa voleva sapere da me quell'uomo? E perché Elania si era arrabbiata? Non capivo cosa ci stesse nascondendo e perché avessi la sensazione di aver già sentito quella voce maschile, ma più rivivevo quella conversazione più mi sfuggiva.

Accantonai il pensiero nel momento in cui arrivai alla fucina. Assomigliava a un'isola in mezzo al nulla, con le ombre della sera che avanzavano e il sole ormai scomparso oltre il profilo delle montagne.

Un uomo mi dava la schiena, mentre percuoteva il metallo incandescente con un piccolo martello. Ogni volta che scuoteva la testa nei suoi occhi grigi si accendeva la luce della magia e un cerchio magico illuminava il banco di lavoro e l'oggetto su

stava lavorando. Sembrava che cercasse qualcosa nella testa del piccone che prendeva forma sotto i colpi del martello.

«Se vuoi continuare a fissarmi, ragazzina, siediti in un angolo e non toccare nulla».

Fece un cenno verso lo sgabello il più lontano possibile dalle fiamme.

«Cosa fai?» chiesi, sedendomi sul bordo della sedia lurida.

Lui lavorò in silenzio, con il sudore che gli impregnava gli capelli scuri e crespi e i vestiti di cuoio.

«Ascolto il metallo» disse infine. «Mi parla. Suona per me come uno strumento. Se non è ben accordato si romperà. Se il metallo è debole fa un suono disarmonico».

Riprese a battere il piccone incandescente con il martelletto e io aguzzai l'orecchio tentando di sentire il suono del metallo senza notare nulla di particolare. Lui continuò il suo lavoro in silenzio e sorrise soddisfatto quando affondò nell'acqua il pezzo che teneva con una pinza. La nube di vapore si aggiunse all'aria già umida.

«Sorpresa? La tempra del metallo è la fase più delicata del processo. Se sbaglio bagno avrò sprecato il mio di tempo. Potrò essermi impegnato al massimo per forgiare un pezzo, ma se sbaglio ora otterrò solo un metallo privo di vita. Un pezzo stonato».

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