Leonardo3

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Tracanno con lunghi sorsi da muovere ritmicamente il pomo di adamo su e giù

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Tracanno con lunghi sorsi da muovere ritmicamente il pomo di adamo su e giù. La birra scende diretta fino allo stomaco rilasciando un sapore delicato ma al contempo amarognolo.

Uscì da quel buco di cesso senza aver più una cazzo di certezza, Nina e suo padre non c'erano più in sala, voletilizzati.
O ci avevo messo troppo ad uscire o erano sgattaiolata immediatamente, o l'una o l'altra non avrebbe fatto nessuna differenza.
Al loro posto un cameriere resettava il tavolo con il capo chino e attento spiegava la tovaglia, stirata perfettamente e candida
Mi parve in quell'istante che volesse in qualche modo cancellare dalla mia memoria l'immagine della rossiccia, ma convinto mi diressi al tavolo dei miei compari ormai uomini ed in scrupoloso silenzio proseguì la serata lavorando sul da farsi.

Acchiappo il telefono posto sul bracciolo del divano ormai rovinato e sgualcito e scorro la rubrica individuando il nome da chiamare.

《Ciao amico mio》la voce di Edo, più bassa di qualche tono, ma sempre allegra e scherzosa 《Edo. Ho bisogno del tuo aiuto》《dimmi tutto》attende curioso dalla parte opposta 《voglio organizzare una rimpatriata. Voglio che ci siano tutti i nostri compagni. Tutti》sottolineo sicuro《Sposati. Genitori o come cazzo siano, voglio vederli dentro l'Omnia》rincaro ancora《va bene Leo. Me ne occupo io. Sarà una serata devastate. Facciamo sabato?》《perfetto》《ah Leo》mi richiama prima di riagganciare 《mmh?》《Nina? Insomma vuoi che anche lei ci sia?》

Ma che razza di domanda è amico mio? Ma certo cazzo, anzi se non ci sarà Nina manda pure tutto a puttane. Che me ne faccio di tutta quella gente della quale non me ne fotte nulla se non c'è Bubi

《Sì Edo, anche Nina e le amiche》rispondo con una punta di presunzione e superficialità

Non ho nessuna intenzione di alzarmi anche per il necessario. Sto troppo di merda. Scanso le scarpe ormai del tutto slegate e mi libero della camicia sporca di birra e cenere.

Quanti anni e quanti mesi che nessuno bussa più alla mia porta. Ho tagliato i ponti con tutti, non volevo più vedere nessuno e l'unico con la quale ho mantenuto un rapporto è mio nonno Alfonso. Settantenne vispo che gira per night con il suo bastone e il sigaro. Le donne per lui sono sempre state il fulcro della vita. Giovani, grandi, more, bionde, tutte, e adesso se la spassa con una cinquantenne benestante che lo ha accolto a casa. Io vivo nella suo appartamento adesso. Da solo, che puzza di alcool e naftalina. Tra le foto dei nipoti da piccoli e le pagine ingiallite delle stampe, conserva tutto cazzo, tutto.

Vorrei rimanere sdraiato a fissare l'orologio di antiquariato che procuro un ticchettio fastidioso, ma la veschica è piena e non posso di certo farmela addosso.

Mi sciacquo le mani e scrollo le goccioline che imbrattano e colano lungo lo specchio

Afferro dal pacchetto una sigaretta che abbandono a penzolone tra le labbra e, svogliatamente, appoggio i gomiti sulla fredda mensola fissata sotto la finestra
Controllo fra le strade deserte ed in penombra: i palazzi che mi circondano, i fili dei cavi elettrici che oscillano, i pulman spenti che rientrano in deposito. Tra un tiro e l'altro mi stringo le ciocche di capelli con la mano libera e mi intossico di fumo e nostalgia.

Si accende l'unica luce dell'appartamento che ho di fronte, sotto di me di due piani. La finestra aperta per metà, lascia entrare aria smuovendo la tenda chiara che danza leggera, la tv accesa rappresenta immagini a me sorde, in prospettiva noto delle lunghe gambe nude che passano sul tappetto, senza un senso logico mi sporgo all'infuori quando le cosce si allungano nella visuale del rettangolo. Sposta il tessuto chiaro tutto da un lato, prende qualcosa da un tavolino e si affaccia anch'ella ad osservare il freddo umido dell'autunno.

Mi ritraggo scioccato.
Non ci posso credere cazzo. Nascosto dietro l'angolo del muro la spio. Non so se ridere o piangere. Vorrei far tutto.

Quei fluenti capelli così lunghi dall'ultima volta che li toccai sono liberi di volare e muoversi nella corrente.

Che faccio?
Vengo?
Rischio?
Nina vivi davanti casa mia
Nina
Nina
Nina

Metti sempre quelle camice troppo grandi addosso da non lasciar modo all'immaginazione di creare cosa ci sia sotto, un pacco regalo da scoprire lentamente

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Metti sempre quelle camice troppo grandi addosso da non lasciar modo all'immaginazione di creare cosa ci sia sotto, un pacco regalo da scoprire lentamente.

Nina
Nina
Lo so perché metti sempre quelle camice tu. Stai dimagrendo, pensi troppo, mi pensi troppo. Lo so. Lo sento. Lo vedo. Oh se lo vedo.

Hai sempre avuto quell'innata facilità di annullare e sovrastare su tutto ciò che ti circonda. C'è chi lo chiama carisma, influenza, prestigio.
Per me se tu.
Soltanto tu.
Solamente tu.
Amore. Mio.

Scendo Nina. Ho voglia di sentire il tuo corpo. Ancora una volta. Una Nina. Ti supplico, ti prego. Concedimi l'arma per poter suicidarmi una volta che mi toglierai di nuovo tutto.

Il ricordo. Il profumo. La saliva. Provare ad essere in due ma sentirsi incollati tanto da avere un corpo solo.

Scendo Nina. Eccomi, corro tra le scale rischiando di sbattere contro i muri ormai deteriorati dal tempo.

Apro il portone, corro sotto la tua finestra e ti guardo, l'ho chiusa la porta? Non me ne frega un cazzo. Portatemi via tutto. Lei no. Portatemi via la vista. Lei no. Portatemi via il senso. Lei no. Lei no.

Metti a fuoco e ti raddrizzi stringendoti i lembi della camicia, ti copri, ti nascondi, ti vergogni. Ma io so cosa c'è la sotto. Oh se lo so. Lo sogno. Di notte e di giorno. Sogno le macchie ramate che si riuniscono sul naso e poi, più giù, più in là, perdono di intensità, di tinta, fino al petto dove spariscono completamente evidenziando quelle delicate gemelle nate per me. Solo per me. Per me che sono stato il primo. Per me che hai abbandonato la timidezza. Per me che sei diventata disinvolta e sensuale. Per me non eri più bambina, a letto eri donna, dio se eri donna.

《Aprimi Nina》, parlo piano, ma mi senti, anche se avessi deciso di non aprire la bocca.

Neghi con la testa velocemente, ma non ci credi nemmeno tu. Mi guardi anima innocente e forte. Sospiri. Ti annulli dalla mia visuale, chiudi le persiane per metà, ed io aspetto con la testa all'insù, il collo dolorante.

E sento. Lo sento. Lontano ma forte. Il tack, rumore metallico del portone che si apre.
Sali mi stai dicendo.
Vieni che ti insulto e ti amo.
Vieni sù al secondo piano che ti prendo a morsi le mani e a baci i pensieri.

Sirena senza coda con la musica per voce che mi invoglia a fermare con lo schioccare delle dita il tempo che trascorreremo insieme.

Arrivo Nina.

F. 😍

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