Nina10

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Mi stringe a sè, forte, troppo forte e ossessivo che mi mangerebbe se potesse. Forse lo fa davvero

《Non andare via》dice sottovoce 《lo farò》insisto《no, non lo farai》, mi distacco di poco, lo provoco ripulendomi il viso dalla saliva ed apro la portiera posteriore.

《Nina》mi richiama a pochi passi di distanza 《ti aspetto a casa》

Sa meglio di me, che tutto questo è servito solo a voler dimostrare. Dimostrare quanto riesca la mia determinazione ad essere velata da una stupida finzione.

Dopo le mie indicazioni ci immettiamo in strada. Leo ancora ad osservarci, ad osservarmi nel buio.

Mi abbandono sul sedile socchiudendo gli occhi.
Devo essere forte per entrambi, lui dimostra di non abbattersi mai ma ha l'anima più tormentata e fragile che abbia mai toccato.

Se solo sapessi cosa gli frulla in testa. Di cosa si sta occupando. A cosa si riferivano le preoccupazioni del nonno.

È arrivato lui sotto casa. Io, per orgoglio, non mi sarei presentata. Avrei lottato duramente ma non avrei ceduto.
Non abbiamo chiuso occhio questa notte. Non ce lo siamo detti, ma io fissavo il soffitto, lui si rigirava ripetutamente nel letto, fino all'alba, quando ho finto di dormire mentre lui si affrettava a rivestirsi e a sgattaiolare dal mio appartamento.

"Ti amo" ha sussurrato depositandomi un casto bacio.
Chiusa la porta ho riaperto gli occhi e ho pianto, cazzo se ho pianto. Non va bene nulla nella mia vita

Ho peccato
Odio i peccati
Detesto i peccatori

Mi sono girata dal suo lato, il cuscino ha il suo profumo, la sagoma della testa bene impressa, e l'ho stretto forte, ho annaspato, pianto, in silenzio e col singhiozzo. Ho urlato e poi taciuto. Presa da brividi di terrore al pensiero costante delle parole del nonno che ebbe la disgrazia di soffrire per un figlio ammazzato, una famiglia distrutta ma con la speranza, ormai collassata, che il nipote prediletto avesse scelto una vita opposta, completamente diversa.

Ho alzato le tapparelle della finestra in camera. Mi bruciano gli occhi. Sono gonfi.
Ho visualizzato sul display il nome di Gaspard che tenta, inutilmente, di mettersi in contatto con la sottoscritta da cinque volte.

Non ne ho la forza. Il coraggio e la voglia. Mi sento soffocare nella mia stessa vita e ovunque provi a guardare, non riesco a trovare una via d'uscita.

Intrappolata nella mia stessa ragnatela.

Non voglio uscire.
Non voglio sentire nessuno.
Vedere nessuno. Colui che avrei voluto al mio fianco è scappato come un ladro.

Sta scivolando tra le dita.

Bivio. Punto morto. Vicolo cieco.

Mi fisso allo specchio del bagno, con la luce calda della lampada puntata sul viso. Non è tanto ciò che vedo a scandalizzarmi, ma piuttosto la naufraga malinconia che mi attanaglia in una morsa l'anima. Accasciata con il peso sulle braccia, conto le gocce di acqua che lente e ordinate si staccano dal rubinetto, ne conto qualcuna in più, sono i miei occhi a procurarle.

Le asciugo.
Rincominciano.

Accendo lo stereo.
Mi rilasso, almeno ci provo. Sorseggio il caffè.

Tiro dalla sigaretta.
Girovago nel soggiorno, sprofondo nella poltrona stringendomi le gambe al petto.

Tiro ancora.
Sorseggio.
Canticchio.
Mi rilasso e respiro regolarmente. Il tempo passa, io guardo il soffitto.

Pranzerò con mio padre, mi ha chiamata subito dopo aver finito la doccia, e dal tono della mia voce ha capito che qualcosa non andava.
Ho comperato delle paste fresche, le sue preferite, preso il tram per qualche fermata e ammirato, come sempre, il silenzio e la quiete di questa città, la domenica in tarda mattinata.

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