Leonardo 8

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Buonasera. 😊
Rientro da queste vacanze più carica di prima. Aggiornerò frequentemente perché le idee sono tantissime, e mi auguro, di interessarvi capitolo dopo capitolo.
Fatemi sapere come sempre con un commento o ☆.
F.

Leone nero è un locale esclusivo di Torino

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Leone nero è un locale esclusivo di Torino. Ormai aperto da decenni, è l'amplesso tra lusso e musica assordante. Le mensole, sul retro del bancone, ricoperte da bottiglie di ogni genere, tra camerieri che corrono per i tavoli, le luci soffuse che garantiscono privacy e discrezione, e la maestosa raffigurazione in marmo, verniciata di nero laccato, del re degli animali nel centro della sala.

Ho trascorso diversi mesi, prima del mio rientro in Sicilia. Un piccolo paese popolato da poche anime, che si inalza lungo la scogliera che affaccia sul mediterrano, un luogo dove vive mia madre Francesca con i miei fratelli.
Mio padre Andrea, originario di là, è morto sparato quando io ero ancora chiuso in cella. Un proiettile alla nuca è bastato a freddarlo.

La mia infanzia è stata particolarmente difficile. Vivevamo in un buco di casa, senza soldi. Senza spensieratezza. Senza svago.
I morsi della fame.
Pasta e fagioli. Pasta e patate.
Purtroppo il trasferimento al nord non riservò i sogni che custodivano i miei genitori. Per quanti lavori trovò mio padre, nessuno secondo le sue idee, riusciva a sfamare la sua sete di ambizione. Con quella speranza che gli scorreva in vena, fece credere per anni, anche decenni, che non fosse lui il problema, che prima o poi la fortuna avrebbe bussato alla nostra porta, tanto da garantirci una sistemazione degna della nostra famiglia, ma il tempo, ahimè, diede altri frutti. Io crescevo, e respiravo tensione e nervosismi. Mia madre sempre più persa nei suoi dispiaceri, che le labbra iniziarono a pendere verso il basso, in giù, in maniera naturale. Non sorrideva più mia madre.

Finché un giorno, sempre mio padre, decise di dedicarsi ad altro. I soldi facili piacciono a tutti, ma quando si è di fronte al bivio, bisogna prendere una decisione: continuare o fermarsi. Entrambi decidemmo di rincorrere il mezzo per ricoprirci d'oro. Quando lo venne a sapere, lessi un dispiacere tale nei suoi occhi che ancora oggi riesco a rivedere se chiudo i miei. Nessun figlio dovrebbe mai creare quello sguardo. La delusione. Le colpe. Logorato. E le parole tra di noi furono sempre poche, sempre meno. Credette che così facendo, disinteressandosi di me, mi sarei rimesso nuovamente in riga, e che, al resto ci avrebbe pensato solo lui. Credeva che Nina, sarebbe riuscita ad aiutarmi, e fu così, l'anima pura di quella ragazza era riuscita, in qualche modo, a riportarmi sulla retta via, a credere di poter tentare con le nostre forze, a non avere paura di andare a dormire, senza l'ansia di essere scoperto.

Purtroppo le carte in tavola erano ancora da girare ed il fato aveva in serbo altri piani per noi.
Quando morì, ricordo di non aver mai pianto così tanto in tutta la mia vita. Non parlai per mesi interi. Ricevetti la chiamate dell'avvocato che, dopo avermi annunciato la sua morte, con tono intriso di rammarico, mi augurò un futuro migliore.

Chiesi categoricamente a mia madre di non presentarsi ai colloqui a venire.

Mi recriminai tutto. Incolpai mio nonno, che per orgoglio non ci aiutò, mia madre per non averlo fermato, e me. Leonardo, il figlio bravo a donare dispiaceri, lo stronzo ambizioso e combina guai, il primogenito che non sa manifestare sentimenti, non sa dare abbracci, carezze, risate. Lo scontroso e cupo ragazzo di periferia. Il cliché.

Nina Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora