Eighteenth

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«Sì mamma, sta tranquilla. Ti chiamerò appena arriveremo. Sì, saluta papà, ciao»


Chiusi la chiamata sospirando mentre massaggiavo le mie tempie. Da quasi due ore eravamo in viaggio, perché l'agente immobiliare che avevamo chiamato qualche settimana fa, aveva già trovato qualche casa da farci vedere. Quando Harry me lo aveva detto, eravamo così felici da organizzarci per passare quel fine settimana a Londra e poterle vedere.
Luglio quell'anno era particolarmente caldo, cosa strana dato che in Inghilterra non capitava quasi mai, infatti avevo indossato un vestitino azzurro con dei piccoli fiorellini bianchi e le Converse.
Girai il viso verso Harry che, con una mano sul cambio e l'altra poggiata debolmente sullo sterzo, guardava la strada attentamente. Spostò lo sguardo sullo specchietto retrovisore, poi su di me e poi di nuovo sulla strada, sorridendo.


«Tua mamma è preoccupata?» domandò.

Sospirai appena. «Sì, dopo mesi non ha ancora accettato l'idea del trasferirci. Dovrà farlo prima o poi»

«Sinceramente pensavo che sarebbe stato tuo papà quello a creare problemi, chiamiamoli così, ma non lei» disse mentre osservava di nuovo lo specchietto retrovisore e poi guardare la strada.

«Sì beh, non che papà sia contento ma sicuramente più tranquillo di mia mamma adesso che lo ha capito» mormorai legando i capelli in una coda improvvisata con un elastico poggiato sul cruscotto.


Harry ridacchiò ma non disse nulla, continuando a guidare e canticchiare la canzone che passava alla radio. Quel giorno era particolarmente attraente: il solito snapback nero era poggiato sulla sua testa, tenendo i capelli selvaggi, con la visiera al contrario; una camicia nera e grigia da boscaiolo -cosa che gli dissi quando lo vidi facendolo ridere- fasciava il suo busto muscolo lasciando però i tatuaggi sulle braccia in bella vista; infine, non potevano mancare i suoi bermuda chiari a jeans e le Vans nere.

«Mi stai mettendo in soggezione» mormorò, facendomi scattare con lo sguardo sul suo viso.

«E quindi?» dissi sollevando un sopracciglio. «Io posso guardarti fino a sciuparti, tesoro. E tu sei quello che mi guarda la notte mentre dormo»

Harry rise annuendo più volte, ma rimase comunque in silenzio. Sorrisi mordendo le mie labbra, poi cambiai stazione radio facendolo lamentare. I nostri "viaggi" in macchina erano sempre così: quando cambiavo, si lamentava.
Sbuffai rimettendo la stazione radio che c'era prima e incrociai le braccia al petto, spostando lo sguardo fuori dal finestrino. Sentì sospirare il ragazzo accanto a me, poi la musica della mia stazione radio preferita mi fece crescere un sorriso sulle labbra.




*




«Questa è la seconda casa che ho da farvi vedere. Si trova in periferia rispetto a dove l'avevate richiesta, ma rientra ugualmente nel prezzo ed è stata messa in vendita da poco»

Il signor Bennett, l'agente immobiliare, era un uomo sulla sessantina d'anni dannatamente bravo nel suo lavoro. La prima casa che ci aveva mostrato, non era piaciuta né a me e né ad Harry per via del baccano della casa accanto, dove viveva una famiglia con sette figli.
La seconda, invece, mi aveva attratta sin da subito. Si trovava fuori dalla periferia, era vero, ma era immersa nel verde e aveva -cosa che mi aveva colpita sin da subito- un cortile interno dove, secondo Bennett, dei bambini potevano crescere tranquillamente e sotto controllo.
Era prevalentemente in legno, con una piscina in questo cortile e, facendo qualche calcolo, era arredata perfettamente.


Ritornai sulla terra quando le dita di Harry toccarono la mia spalla, abbracciandomi. «Cosa ne pensi?»

Guardai il sorriso emozionato e i suoi occhi luccicare. Anche a me piaceva tantissimo. Annuì, così Harry mi afferrò in braccio e mi fece volteggiare, mentre ridevamo. Afferrai il suo viso baciandolo più volte e puntando, poi, sulle sue labbra. Bennett rimase in disparte e quando ce ne ricordammo, Harry mi fece poggiare i piedi per terra e io sistemai il mio vestito.


Avietor » h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora