Fiftieth / Epilogo

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HARRY'S POV,
otto mesi dopo:


Nel corso della vita sentiamo sempre parlare della felicità e dell'amore, ma esattamente cosa significano queste due parole? Perché Dio ha creato la felicità e l'amore? Sono due stati d'animo, a detta del dizionario, ma so per certo che sono molto di più. Partiamo dal presupposto che l'amore è il fasciame di tutta la creazione e che, soprattutto, combacia con il significato di tutte le cose: la felicità. Dobbiamo avere il coraggio di andare avanti sempre, di superare gli ostacoli che Dio o il fato mette sulla nostra strada, di stringere i denti e cercare di mantenere la calma. Tutto questo è possibile solo con una cosa: l'amore. Per me, l'amore, sono mia moglie e mia figlia. Niente al mondo può essere paragonabile all'amore che provo per quelle due persone. La prima, inconsapevolmente, ha combattuto per rendermi un uomo migliore e, guarda caso, c'è riuscita in pieno. Mi ha donato tutto quello che di bello può donare la vita: la sua risata, la gioia di averla con me, la gioia di averla finalmente sposata e la piccola Lia. Quest'ultima mi ha fatto riscoprire l'amore e tutto quello che comporta amare così tanto: non è facile essere papà, assolutamente, ma la stanchezza e lo stress passano quando la sento ridere o urla per il solletico che le faccio sulla pancia; passa tutto quando a fine giornata, salta sul letto grande tra me e Bella e inizia a parlare di quelle piccole fatine che ho deciso di disegnare sulla parete della sua camera fin quando non crolla. La felicità, personalmente, riesco a trovarla solo quando ho la mia famiglia intorno. E ringrazio Dio ogni santo giorno per donarmi tutto quello che di bello possa esistere.

Ritornai con la mente all'interno della sala quando fu chiamato il mio nome. Ero rimasto in attesa di sentirmi chiamare per più di un'ora e mezza, in compagnia di Louis che non aveva voluto lasciarmi andare da solo. Camminai velocemente fino allo sportello dove dietro stava una signora. «Salve, sono qui per vedere Julie Parker» dissi subito.

«Lungo il corridoio alla sua sinistra, stanza 102» disse annuendo, così la ringrazia e camminai lentamente.

Mentre la distanza tra me e quella stanza si accorciava sempre di più, sentivo i palmi delle mani sudare e il cuore battere forte. Ero riuscito a trovare la famiglia Parker dopo tre mesi di ricerche continue: avevo avuto la possibilità di arrivare da Londra a Belfast per parlare con i signori Parker della situazione della loro unica figlia, avevo avuto la possibilità di capire quale realmente fosse la situazione. Avevo capito già da prima, quando ancora mi trovavo sull'Arleigh, che quelli di Julie fossero dei problemi possibili da risolvere ma non avevo capito che il mio allontanamento dall'esercito l'aveva completamente distrutta. Era stata per mesi e mesi ricoverata in un istituto a Dublino, cercando di risolvere quelle piccole incomprensioni fisiche e psichiche. La prima volta che ero arrivato qui - quattro mesi fa- non avevo avuto la possibilità di vederla, ma quando ero tornato qualche settimana dopo ero riuscito a convincere il direttore dell'Istituto a concedermi venti minuti. Era stato strano per lei trovarmi lì, ma probabilmente lo ero stato di più per me. Continuavo a chiedermi: perché sono qui? Cosa ci faccio qui, come posso aiutarla? La risposta era arrivata quando mi aveva abbracciato, ringraziando Dio per averle portato una faccia conoscente. Da lì ci eravamo tenuti in contatto e finalmente, dopo mesi, era stata dimessa dall'istituto completamente guarita. I genitori erano entrambi d'accordo sul fatto che venisse a Londra con noi, per poterla tenere sotto controllo e farla lavorare con noi. L'unica pecca? Il giorno delle sue dimissioni combaciava con il giorno del mio matrimonio. Se fossi solamente arrivato in ritardo di un minuto, Bella mi avrebbe ucciso e subito dopo ci sarebbero state Gemma, Lola e Rachel. Per non parlare di mia mamma o dei genitori di Isabella.

Mi fermai quando Louis poggiò una mano sul mio braccio. Lo guardai: mi sorrise annuendo, indicando poi la porta con su scritto 102. Sollevai il braccio, sospirando, e bussai. Aspettammo poco prima che aprisse e Julie ci spuntò. Timida come era sempre stata, ci sorrise e ci abbracciò velocemente.

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