54-Eri il mio eroe, ma hai fallito

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Dopo aver sentito la mia richiesta, Ethan prese le chiavi dalla scrivania accanto a noi.
<<Andiamo>> uscimmo dalla casa che avrei frequentato con piacere anche altre volte per poi salire in macchina.
<<Spero non sia successo niente di grave>> ammisi a testa bassa. Ethan prese la mia mano e la strinse nella sua, per poi sorridere.
<<Tranquilla, ci sono io con te>> quella frase mi rassicurò parecchio, così annuii. Mise in moto l'auto e a tutta velocità affrontammo il tragitto. La musica risuonava a volume basso nell'abitacolo, ma avendo bisogno di qualche distrazione, alzai il volume. Stavano trasmettendo whatever it takes degli Immagine Dragons, una delle mie canzoni preferite. A quest'ora le persone in giro non erano molte, perciò impiegammo solo una decina di minuti per arrivare a casa.
<<Siamo arrivati>> mi avvisò il mio amico, in preda al panico <<Vuoi che venga con te?>>
<<Mi farebbe piacere>> notai che c'era già una macchina parcheggiata. Mi domandai di chi potesse essere, ma non mi venne in mente nessuno. Suonai al campanello di casa e un Tyler impacciato venne ad aprirmi. Appena vide Ethan ridusse gli occhi a due fessure.
<<Che ci fa lui qui?>> lo squadrò dalla testa ai piedi con fare superiore. Ignorai totalmente la sua domanda, non essendo il momento di fare commenti di gelosia. Entrai in casa, seguita dai due ragazzi, sentendo delle urla provenire dalla cucina. Erano tre voci acute. Ma una non riuscivo proprio a riconoscerla.
<<Jess, dove vai?>> mi domandò Tyler, facendomi girare verso di lui.
<<A vedere cosa sta succedendo>> risposi, come se la cosa fosse ovvia. MI avviai verso la cucina.
<<Jake non ho ancora capito perché cazzo sei qui?>> sbraitò mia madre, paonazza in volto.
<<Per mia figlia, Sara!>> ribatté prontamente una voce che non avrei mai riconosciuto. Quella di mio padre. Sentendo quelle parole, chiusi la porta della cucina, che fece un tonfo forte. Cosi forte da far girare entrambi i miei genitori nella mia direzione. Mio padre. L'uomo che da bambina consideravo il mio eroe, ma che non si era dimostrato tale neanche una volta. L'uomo che ora faceva finta di essere qui per me, dopo avermi ignorata per anni. Troppi, per essere perdonato.
<<Jessica>> sussurrò il mio nome con dolcezza, le mani chiuse a pugno. Vedere quelle pozze di un azzurro così intenso mi fece rivivere i ricordi di quando ci potevamo definire una famiglia felice. Ma quella felicità era durata ben poco. Notai Michael solo in quel momento, i palmi delle sue mani posate sul tavolo. Mi guardò con compassione, capendo a pieno il mio dolore. Anche lui era disperato, non sapeva come gestire la questione tra mia madre e...mio padre. Proprio l'uomo in questione, si avvicinò lentamente a me. Scansai velocemente il braccio, non volendo assolutamente essere toccata.
<<Piccola mia>> mi richiamò.
<<Non toccarmi>> sussurrai, con le lacrime pronte ad uscire.
<<Sono tuo padre, sono sempre lo stesso>> cercò di rassicurarmi.
<<Se sei ancora lo stesso non ti voglio qui. Tu mi hai abbandonata>> gli ricordai, aprendo nuovamente una ferita che pensavamo entrambi di aver chiuso per sempre. Una lacrima mi sfuggì, susseguita da altre amare. Mio padre le scansò con il pollice, ma lo allontanai di nuovo.
<<Non toccarmi ho detto!>> il mio tono, seppur basso, era molto deciso.
<<Stalle lontano>> si intromise mia madre, sconvolta tanto quanto me. Mi abbracciò forte, come non aveva mai fatto prima d'ora.
<<Tesoro, come stai?>> papà non ascoltò affatto la raccomandazione di mia madre.
<<Stavo meglio prima>> ammisi. In quel momento entrarono in cucina Ethan e Tyler. Il mio amico sgranò gli occhi.
<<E voi chi siete?>> domandò.
<<Non sono affari tuoi!>> esclamai.
<<Tyler è mio figlio>> si intromise Michael, indicandolo mentre salutava mio padre con un segno della mano <<Mentre Ethan è un amico di Jess>> tirai su con il naso e asciugai le ultime lacrime.
<<Perché sei qui?>> gli chiesi, deglutendo.
<<Scusate per il disturbo, forse è meglio se me ne vado>> disse Ethan, sentendosi di troppo. Cosi, dopo avermi lasciato un bacio sulla guancia, uscì di casa.
<<Jake, devi andartene!>> esclamò mia madre non dandogli il tempo per rispondere alla mia domanda.
<<E perché? Sono qui per lavoro, tra quattro giorni levo il disturbo, tranquilla>>
<<Allora trovati una stanza>>
<<È quello che farò dopo aver parlato con mia figlia>> ridusse gli occhi cristallini a due fessure, mostrando il suo solito sguardo pieno di cattiveria. Quello sguardo che aveva ogni maledetto giorno.
<<Tu non devi dirmi niente! Io non ho niente da dirti>> ribattei.
<<Jessica, mi dispiace...>>
<<Ti dispiace? Papà, qui non stiamo recitando, questa è la vita reale. Le scuse non bastano!>> dissi, decisa a farmi rispettare.
<<Lascia solo che->> lo bloccai con un segno della mano. Non dovevo sentire nient'altro.
<<Niente. Ormai ti sei fatto la tua bella vita, hai una nuova famiglia che ami. Io sto benissimo qui. Michael è una brava persona. E sai cosa ti dico? Avrei preferito avere lui come padre>> il disprezzo, oramai, non potevo farlo trasparire. L'odio che provavo verso l'uomo a me di fronte era tanto. I suoi occhi si incupirono tutto d'un tratto, assottigliò le labbra carnose. Lo sapevo, quelle parole facevano male. Ma non erano paragonabili al dolore che avevo provato io il giorno del suo abbandono e tutti quelli precedenti. Mia madre strinse la sua mano nella mia, facendomi coraggio, proprio come mi aveva rassicurata il tocco di Ethan. Altre lacrime si impossessarono del mio volto. Questa volta iniziai a singhiozzare. Scappai in camera mia, senza dare modo a nessuno di ribattere.
Mi coprii il volto con le mani, affogando in un mare di lacrime. Non mi sarei mai aspettata che mio padre, la persona che più odiavo, potesse far irruzione nella mia vita così, all'improvviso. Non avrei mai pensato che, una giornata iniziata non molto bene, potesse finire in un modo ancora più schifoso. Mi sembrava di essere la protagonista di uno di quei film drammatici, che, in un momento come questo, aveva bisogno di una cosa sola: un abbraccio. E, come se Dio mi ascoltasse per una buona volta, qualcuno entró in camera. Non mi importava sapere chi fosse. Mi buttai direttamente tra le braccia della persona in questione, versando ancora più lacrime di prima.
<<Stai calma, ci sono io con te>> quella voce l'avrei riconosciuta tra mille. Era Tyler, venuto solo per consolarmi in un momento orribile come quello. Mi strinsi ancora più saldamente tra le sue braccia, quasi a proteggermi dal mio peggior incubo: il mio passato. Lo sentii sospirare affannosamente.
<<Perché è tornato?>> domandai con la testa immersa nel suo petto.
<<Non lo so Jess, ma tu devi mostrarti forte. Perché lo sei>> mi consigliò. Dopo avermi accarezzato i capelli e baciato sulle tempie, mi allontanai da lui. Abbozzai un sorriso, asciugando una lacrima. Piangere per una persona che mi aveva dimenticata e abbandonata era inutile. Ma era fottutamente difficile non sentirsi di merda.
<<Grazie Tyler>>
<<Non devi ringraziarmi. Come ti senti ora?>> posò una mano sulla mia spalla.
<<Meglio, avevo proprio bisogno di un abbraccio. Sei capitato nel momento giusto>> lo informai, sorridendo lievemente.
<<Sai, il rosso non si abbina proprio con l'azzurro dei tuoi occhi. Non dovresti piangere mai>> mi accarezzò una guancia <<Sei molto più bella quando ridi>> disse, annuendo.
<<Io odio piangere. Ma in certi momenti non posso farne a meno. Rivedere mio padre mi ha fatto sentire di schifo, seriamente. Ho rivisto in soli due minuti tutta la mia vita, andata in frantumi solo per colpa sua>> la voce era spezzata dal pianto.
<<Non immagino come ti sei sentita. Inoltre, è apparso così, all'improvviso>>
<<Esatto. Non capisco perché sia tornato. Cos'altro vuole da me?>>
<<Magari non vuole farti ulteriormente male ed è venuto qui per farsi perdonare, in qualche modo>> 
<<Se ha queste intenzioni ha capito male. Non lo voglio vedere>> risposi con decisione. Proprio in quel momento, mio padre aprì la porta della stanza.  Aveva uno sguardo da cucciolo smarrito, ovviamente ideato per fare scena.
<<Tyler giusto?>> si rivolse con educazione al mio fratellastro.
<<Si, perché?>>
<<Potresti uscire, per favore. Devo parlare da solo con Jessica>> gli indicò con la mano la porta, ma Tyler non si mosse da dove si trovava.
<<Papà, quante volte ancora devo dirti che non ti voglio vedere?>> intervenni notando l'imbarazzo di Tyler nel disobbedire all'ordine dato da mio padre.
<<Esci ragazzino>> continuò imperterrito lui, non ascoltando le mie parole.
<<Non lo chiamare ragazzino, porta rispetto. Lui te ne ha portato, anche se hai messo piede dentro la sua casa e hai iniziato a fare cazzate, una dietro l'altra>> gli ricordai.
<<Allora, visto che ci tieni tanto, riformulo la domanda>> disse rivolto a me. Poi girò lo sguardo su Tyler <<Per favore Tyler, potresti uscire dalla stanza? Ho bisogno di stare solo con mia figlia>>
<<Guardi, dato che non capisce, glielo ripeto io. Jessica non vuole vederla>> scandì per bene le parole.
<<Ma chi ti credi di essere? Anche se lei non vuole io non mi muovo da qui>> incrociò le braccia al petto, facendo capire che le parole usate non erano certo per mettere paura. Sarebbe rimasto lì veramente, anche tutta la giornata se necessario.
<<Senta, so di essere scortese, ma se mia madre dovesse farsi viva un giorno di questi, neanche io vorrei starle accanto. È normale, visto che ci avete abbandonati>>
<<Neanche se ti implorasse di passare un pò di tempo insieme, come facevate quando eri un bambino?>> Tyler sgranò gli occhi, osservando un punto indefinito.
<<Mia madre non ha mai passato del tempo con me>> sussurrò.
<<Ma io si, non è vero Jessie? Ti ricordi quando ti chiamavo così e tu non volevi? O quando giocavamo a dottori, io facevo il paziente malato ma tu riuscivi sempre a guarirmi?>>
<<Ero solo una bambina che non poteva capire. Che non poteva sapere cosa sarebbe successo>> giustificai le mie azioni, non volendo ricordare altro. Mio padre sospirò pesantemente. Lo guardai con attenzione e mi domandai se la sua nuova bambina, nonchè mia sorella, somigliasse a lui. Mi venne in mente una piccola bambina, seduta sul passeggino, con degli occhioni azzurri e capelli neri. Si, cosi la immaginavo, con la speranza di poterla vedere un giorno. Un giorno che non sarebbe mai arrivato, dato che viveva con sua madre e mio padre lontano da New York. Persa nei miei pensieri, non mi accorsi che Tyler, costretto dalle parole di mio padre, era uscito a testa bassa dalla stanza, sentendosi in colpa per avermi lasciata sola con il mio eroe. Un eroe fallito, però.
<<Ti somiglia?>> diedi libero sfogo alle mie domande.
<<La bambina? Si, abbastanza. Ha gli occhi come i tuoi ed è bella come te. Vorresti vederla, un giorno?>> tirai su con il naso mentre annuivo.
<<Mi farebbe piacere>> dissi a bassa voce, anche se mio padre riuscì ugualmente a sentirmi. Si avvicinò lentamente. Non riuscivo a muovere un muscolo. Posò delicatamente la mano sulla mia spalla, sorridendo amareggiato.
<<Come si chiama?>> chiesi, mentre singhiozzavo.
<<Faith>> iniziai a piangere perché il nome era quello che avevo dato alla mia bambola preferita, da piccola.
Comunque invidiavo mia sorella. Quella bambina era destinata a vivere con mio padre ed essere sua figlia. Era destinata ad essere amata più di me. Chiusi gli occhi, sentivo un vuoto nel petto, udendo la voce di papà che mi richiamava. Il respiro era affannato, scrollavo la testa senza un'apparente ragione. Volevo scacciare via il nome di mia sorella, la nuova vita di mio padre, il suo ritorno inaspettato. La sua presa su di me si fece più forte mentre mi chiamava con più fermezza. Persi l'equilibrio e caddi a terra. L'ultima cosa che sentii era la voce di mio padre che urlava il mio nome. Il mio nome che detto da lui aveva un suono triste.

Il Mio Amato Fratellastro (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora