Quella notte passata a combattere i demoni era stata la più disgustosa di tutte e Magnus aveva seriamente pensato che si fossero tutti messi d'accordo per rovinargli il look e i capelli. Poi si era ricordato che quelle bestiacce probabilmente non avevano neanche un cervello e che quindi era anche inutile prendersela con delle creature prive di alcun tipo di intelligenza. Non sapeva nemmeno come aveva fatto a raggiungere i suo appartamento senza collassare in mezzo alla strada. Sporco com'era, molta gente si era voltata a guardarlo pensando che fosse un vagabondo senza soldi che elemosinava cibo nella spazzatura. Si sentiva talmente esausto che non era capace neanche di provare vergogna per quella esperienza mistica. L'unica cosa che riusciva a fare era sparare che Alec non fosse a casa ad aspettarlo perché ci mancava solo che il suo fidanzato lo vedesse ridotto in quella maniera. Aprì la porta trascinandosi di peso e capì che era solo a casa. Non sapeva spiegarlo razionalmente, ma era come se la casa senza Alec non fosse la stessa. un ritratto a cui manca il soggetto raffigurato. Non aveva cambiato idea sul piano suicida delle Sorelle di Ferro, meno ancora sulla partecipazione di Alec in tutto questo. Sperava ancora che passato del tempo capisse la pericolosità di questa decisione e riprendesse il suo lavoro, che era anche la sua vita dopo quello che era successo a suo fratello. Magnus non capiva quella sensazione di Alec di dover partecipare a quella pazzia. Senza la sua magia non si era mai sentito completo, di questo era certo. Era come se una parte di lui fosse stata strappata con violenza senza lasciare nessun punto di sutura che colmasse quella mancanza di identità a cui non era preparato. Ma per Alec non poteva essere la stessa cosa. Non era mai stato uno Shadowhunter e fino a poco tempo fa non sapeva nemmeno della loro esistenza. Quando Alec ne parlava vedeva nei suoi occhi un lampo di determinazione che lo avrebbe convinto se non sapesse dei pericoli e della spericolatézza degli Shadowhunters. Si chiese se anche Jace e Clary fossero così emotivamente coinvolti e si ripromise di vederli in azione dalle Sorelle. Oltre che l'assenza di Alec, Magnus notò anche un sfilza di colori accessi sul tavolo della cucina. Una cesta di frutta attirava l'attenzione del suo sguardo ed era assolutamente certo che non l'avesse comprato lui. Anche perché dai colori sembravano fresche di stagione. Si avvicinò e quei colori luminosi colpivano gli occhi prepotentemente per quanto erano forti. Si chiese se non fossero di plastica perché era quasi certo che dei frutti così pregiati non esistevano a New York. Si convinse che non lo erano dato che mano a mano che si avvicinava anche l'odore si intensificò. Quell'aroma gli ricordava l'aria di una terra lontana. O meglio di una vita lontana. Non sapeva come fosse possibile ma quel cesto di frutta lì davanti a lui a Brooklyn gli ricordava l'Indonesia, il suo paese natale. Immensi campi aperti gli tornarono in mente insieme al sapore di quei prodotti tirati su dalla terra. La sua terra. Non tutti i ricordi di quel posto erano felici, ma Magnus sembrò quasi non ricordarsene perché quei colori provocavano in lui solo sentimenti di quella gioia e libertà dell'infanzia che lui aveva vissuto solo per poco tempo. Per quanto quei ricordi gli ritornarono in mente, per lui non era abbastanza. C'era dell'altro nella sua memora e il morso di uno di quei frutti lo avrebbe aiutato a ricordare di più. Prese uno di quei succosi frutti e lo morse voracemente ricordandosi che non aveva mangiato niente per tutta la notte. Notò che sotto la cesta sbucava un bigliettino bianco con una calligrafia ordinata che diceva: "La memoria di ogni uomo è la sua letteratura privata.(Aldous Huxley). Da M" Magnus quasi si strozzò. Chi poteva essere? Nell'istante in cui pensò a questo, le palpebre degli occhi iniziarono a pesare e con loro anche il suo corpo che sentiva più stanco di prima. Si sentiva come se i suoi muscoli si sciogliessero e che diventassero tutt'uno con il pavimento. Quando riaprì gli occhi non era in camera sua. I contorni intorno a lui danzavano come se non trovassero gli oggetti a cui davano forma e sentiva il suo respiro pesante come se qualcuno lo avesse spaventato da dietro. Riuscì solamente a capire che era sdraiato su una branda orizzontale dura come un pezzo di legno. Anzi, molto probabilmente era in legno. Improvvisamente la vista gli tornò e la stanza intorno a lui iniziava ad avere delle forme ben precise. La forma era quadrata, grande quanto un piccolo magazzino di un negozio di bassa lega e i muri erano sporchi di muffa. Quello che per Magnus sembrò l'uscita erano in realtà un muro di sbarre alte quanto il muro. Provò ad alzarsi pronto a sentire il mondo girare per la perdita dei sensi, ma invece riuscì ad alzarsi senza poggiarsi al muro. Si muoveva senza fatica e riusciva a pensare lucidamente come quando bevi il primo sorso di caffè dopo tempo. Toccò le sbarre e le sentì ghiacciate, segno che lì non avevano il riscaldamento acceso da un po'. Provò a infilare la testa in mezzo per affacciarsi al corridoi e capire se poteva riconoscere quello strano posto, ma per quanto era anonimo, poteva benissimo essere in Antartide tra ghiacci. D'improvviso, un grido riecheggiò in corridoio e Magnus dovette convincersi a guardare anche se avrebbe voluto evitarlo. Pochi istanti dopo, si sentì aprire e sbattere una porta e Magnus riuscì a vedere dalle sbarre una figura piccola scortata da due uomini famigliari. Non che li conoscesse, ma la loro uniforme e le armi che tenevano dentro le tasche non li avrebbe mai scordati. Erano le guardie delI'Istituto. Le stesse che avevano imprigionato Magnus sotto l'ordine del Clave. Cosa ci facevano lì? Era per caso nell'Istituto? In quale parte? I passi si avvicinavano sempre di più e finalmente Magnus vide il volto della figura al centro. La sua camminata era zoppicante, come se una gamba non reggesse il suo peso del tutto e il volto era viola per via delle vene visibili sulla pelle. I vestiti erano trascurati come lo era la maggior parte del corpo, ferito e martoriato sia da dentro che da fuori. Mentre passava vicino la cella di Magnus la luce riflessa dalla piccola finestra in alto che sembrava affacciare direttamente dal cielo colpì l'occhio di Magnus, che spostò lo sguardo dal viso della ragazza a dove lo aveva colpito quel raggio di luce. I suoi occhi intercettarono la provenienza di quel raggio e in un modo che sembrò a lui naturale ebbe un ricordo. Era legato ad una ragazza che per lui era stata importante e che pensava che avrebbe riconosciuto tra mille. E fu strano e imbarazzante, perché non era così. I loro occhi si incontrarono e altri ricordi affluirono nella sua mente senza sosta. Delle pupille calde color marrone che lo guardavano sognanti quando videro quel ciondolo a forma del vecchio simbolo degli stregoni . Glielo aveva regalato per ricordarle che entrambi sarebbero stati lì l'uno per l'altro con la loro magia a fare da cornice a quell'intensa storia d'amore. Ma non andò così, perché Magnus scoprì che senza la magia entrambi avevano perso una parte di loro stessi che mai insieme avrebbero colmato. E che fino a poco tempo fa Magnus pensava che nessuno potesse farlo. Lei sembrava non averlo riconosciuto o forse neanche ci aveva badato. Magnus non osò profilar parola perché non voleva metterla in difficoltà. Il grido deve essere stato suo e dalle ferite lungo il corpo era pienamente giustificato. Appena le guardie portarono la ragazza dentro un'altra cella, Magnus sentì di nuovo le palpebre chiudersi. Cercò di non svenire per terra e si avviò verso il letto nonostante non sarebbe stato più morbido del pavimento. Anche se il sonno lo stava velocemente avvolgendo, vide che vicino al letto c'era uno specchio non rotto. Magnus ci passò davanti per vedere se fosse ferito, ma appena si avvicinò si rese conto che qualcosa non quadrava. Lui non c'era in quello specchio. Non c'era nessuno in quel riflesso. C'erano solo le sbarre. appena si buttò sul letto si sentì catapultato su un materasso morbido che gli era famigliare. Aprì gli occhi e si ritrovò a casa sua. Non aveva quella stanchezza tipica di chi era appena sveglio, ma comunque si sentiva stanco emotivamente. Quel sogno lo aveva scaricato di qualunque emozione e ci sarebbe voluto un po' di tempo prima che ricominciasse a ragionare su ciò che era successo. Dentro di lui ricordi di vecchi amori e vecchie dimore si rincorrevano e Magnus non riusciva a dare ordine a quel fiume di immagini e di sensazioni. Era come se solamente adesso sentisse il peso dei suoi anni. Non sapeva cosa significasse tutto questo, ma sapeva benissimo a chi rivolgersi perché quella M firmata sul bigliettino poteva essere solo opera di una persona ambigua e enigmatica di natura. Digitò il numero e attese risposta al telefono.
"Credo che noi due dobbiamo parlare M"