Chloe
Quando avevo deciso di seguire mio padre fino a Chicago, avevo immaginato che la mia vita sarebbe rimasta immutata, dal momento che non avevo mai avuto amicizie importanti e l'unica ragione che mi tratteneva nello Stato del Sole mi aveva già abbandonata da un po'. E così era stato, almeno fino all'inizio della mia permanenza.
Si poteva quindi dire che Derek Sullivan fosse la ragione principale per cui avessi abbandonato il mio lavoro come redattrice e mi fossi decisa a seguire mio padre in quell'avventura che non sembrava avere eccessivi riscontri positivi, se non un mucchio di ragazzi infuriati perché non avevano neanche più la possibilità di respirare senza il suo permesso.
E anche se mi era dispiaciuto abbandonare Los Angeles e il suo mare caldo, così come il mio lavoro sudato, avevo comunque trovato un riscontro positivo nel mio nuovo impiego, sia dal punto di vista personale che per quanto riguardava le relazioni.
In effetti, prima di essere ingaggiata da Tom Gillies, il manager della squadra, ero già stata a contatto col Time Journal per tutta l'estate, portando avanti una serie di lavori con una delle sue dipendenti che era sfociato in una prima pagina molto interessante e in una grande amicizia. Probabilmente la più importante che avessi mai avuto.
Tonya Cooper aveva un metro di gambe e un chilo di capelli in testa, se ci fosse stata una super modella nei paraggi si sarebbe probabilmente vergognata mettendosi a confronto con la mia migliore amica.
La carnagione del colore dell'oro, una distesa di sabbia nera luminosa e idratata; sembrava il mare vulcanico. E aveva il vento perpetuamente tra i capricci ben definiti. Perché Tonya aveva così tanti capelli e così tanti ricci che, quando la guardavo, mi sembrava fosse appena uscita da una battaglia tra amazzoni.
Poi li teneva sempre perfettamente composti, era esattamente l'opposto di me sotto questo punto di vista. Perché nonostante i suoi capelli fossero selvaggi e difficili da trattare, era lei quelle delle due che non ne aveva mai uno fuori posto. Non si poteva dire lo stesso di me che, anche se non avevo ricci come i suoi, mi ritrovavo una montagna di onde indomabili a cui avevo imparato a non prestare attenzione o avrei rischiato col finire in una crisi esistenziale senza fondo ogni qualvolta avessi tentato di trascinarci un pettine in mezzo.
Però Tonya era così bella, che quando le stavo accanto mi sentivo bella anche io. Si poteva anche dire che fosse un metro e settanta di pura intelligenza, audacia e confidenza. Lei era decisamente il tipo di persona che animava le feste.
Bussai alla porta del suo ufficio all'ultimo piano di quell'alto grattacielo che faceva da ambiente lavorativo ad entrambe, irrompendo subito dopo nelle sue quattro mura colorate di un rosa acceso, pronta a mostrarle il mio bottino.
Se ne stava con le gambe accavallate, seguite dai piedi nudi poggiati sulla scrivania, i tacchi alti lasciati incustoditi per terra e la gonna stretta che permetteva una gran visuale delle sue gambe spoglie. Tra le mani aveva un pacchetto di caramelle che sgranocchiava compiaciuta mentre osservava chissà cosa al computer.
«Ehi, Hermione. Che si dice a Hogwarts?» mi prese in giro, per via dei miei capelli disordinati. I suoi quel giorno erano perfettamente tenuti in una mezza coda. Sembravano molle pronte a scattare sotto il peso della gravità. Mi avvicinai, richiudendomi la porta alle spalle e poi le lasciai un caldo bacio sulla guancia come saluto.
«Che guardi?» le chiesi, prendendo posto sulla poltrona di fronte alla sua scrivania in vetro.
Lei non disse nulla, allungò la mano ben curata con le unghie laccate di rosso e girò lo schermo, sporcandolo con il residuo appiccicoso di caramelle che le si era sciolto tra i polpastrelli. Osservai interdetta l'oggetto del suo sguardo sognante.
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Dance of Bulls
Romance"Ci sono ben diciotto ragioni per cui lo chiamano il Minotauro." • VINCITORE WATTYS 2020 DISPONIBILE IN LIBRERIA E SU AMAZON