47. Come una fotografia

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Hyade

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Hyade

La pausa di metà aprile, una settimana prima dell'inizio dei playoff, la passavo solitamente in vacanza tornano a casa dalla mia famiglia o partendo da solo per scrollarmi di dosso le responsabilità.

Per quell'anno, visto e considerato l'andamento delle cose e i recenti sviluppi, avevo già programmato di prendere un volo last minute insieme a Chloe verso un posto in cui saremmo potuti restare soli io e lei a divertirci, magari un luogo caldo in cui passare le giornate in una spiaggia privata a bere cocktail e a prendere il sole. Ci avevo immaginati ubriacarci la sera mentre mangiavamo pesce sulle verande di case costruite sull'acqua cristallina, come quelle a Bora Bora, con Chloe che sfoggiava uno dei vestiti che Tonya la avrebbe probabilmente costretta a portarsi dietro e i capelli più biondicci del solito a causa dei raggi solari e le guance arrossate per via dell'abbronzatura. Magari a brindare sotto le stelle, con il cielo chiaro mentre lei cercava di riconoscere quelle poche costellazioni che aveva imparato da bambina e io avrei fatto finta di seguire il discorso, distogliendo lo sguardo da lei solo quando si sarebbe voltata per controllare che stessi seguendo, quando l'unica cosa che avrei osservato per tutta la notte restava unicamente lei.

Chloe era sempre stata una lunga scia luminosa che imbrattava l'oscurità. Chloe era sempre stata la spinta verso il paradiso, i colori caldi del tramonto che mettevano fine a una giornata pesante, ma anche quelli accesi di un'alba che terminava una notte insonne fatta di buio e tristezza. E Chloe era anche sempre stata tremendamente genuina, incontrollabile, imprevedibile e coraggiosa. Le sue espressioni parlavano ancora prima che potesse aprir bocca e nemmeno un Minotauro sarebbe mai stato in grado di metterla a tacere, anche se fosse rimasta persa in un labirinto senza il filo della salvezza a riportarla a casa.

Forse era questa la metafora che più si addiceva alla situazione: il suo filo rosso era ormai giunto al termine e lei aveva continuato a vagabondare tra alte mura, in un labirinto di vita e morte, per trovare me. E io, che ero sempre stato un mostro, avevo ceduto sotto il suo sguardo angelico, ero caduto sotto la sua luce paradisiaca e avevo ripreso a splendere grazie al suo giudizio gentile e al suo tocco innocente.

Ma Chloe era anche un fiume sempre in piena, che rischiava di straripare da un momento all'altro. Così sensibile da riuscire a vivere il mondo solo dietro lo schermo della sua macchina fotografica, così minuta da non poter sorreggere il peso delle sue stesse lacrime, così fragile da dover scegliere accuratamente le persone con cui aprirsi e a cui mostrare la via d'uscita di quel labirinto che si era costruita tutto intorno.

Un labirinto fatto di specchi e pietre preziose, dove una via d'uscita era solo l'ennesimo vicolo cieco e in cui, senza rendertene conto, ti ritrovavi a stare senza volertene realmente mai andar via. Un labirinto fatto di cespugliosi nodi, come quelli che incrociavano le sue ciocche dorate, e dove il sole restava sempre alto a colorare d'oro le vie, dove la notte e il buio non arrivavano mai, dove il freddo restava una mera leggenda dimenticata.

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