11. Questione di vita o di morte

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Chloe

Può capitare a volte di perdere; questa era da sempre stata una mia filosofia di vita. Io, che avevo spesso affrontato le cose con la speranza di vincere, ma che mai ero finita col crogiolarmi nel fallimento, sapevo di essere capace di affrontare la sconfitta.

Per me, essere battuta, non era ragione di umiliazione o di sconforto, ma mi aveva sempre lasciato una lezione che avevo stretto tra le dita preziosamente.

Non si poteva dire lo stesso di Hyade, che sapevo essere così bisognoso di vincere ad ogni costo da considerarla una questione di vita o di morte. Era evidente dal modo in cui si tirava su la fascia per capelli ed entrava in campo a riscaldarsi, che tutto quello che faceva nella sua vita lo faceva per essere il primo. Il migliore. L'imbattibile. Era un ragazzo che non aveva mai perso.

Mi ero così rassegnata al fatto che io e lui non saremmo mai potuti andare realmente d'accordo, in parte anche perché eravamo troppo diversi. Lui era un vincente, io ero una banale partecipante a cui piaceva solo giocare.

Per questo, quando quel venerdì sera Blake mi aveva mandato una foto al pronto soccorso che riprendeva la caviglia che aveva slogato durante gli allenamenti, ero stata costretta a rimettere a posto il vestito che avevo scelto per il nostro appuntamento e tutte le buone intenzioni di aprirmi a qualcuno, ma senza sentirmi abbattuta, consapevole che anche se fosse una bella batosta da digerire, per via di tutto il coraggio che avevo fatto fatica a far uscire fuori, non ero pronta a sentirmi persa per un appuntamento che non era nemmeno mai iniziato.

Blake era stato estremamente gentile con me, mi aveva continuato a mandare messaggi e da quando si era slogato la caviglia, avevo preso l'abitudine di andare agli allenamenti solo per tenergli compagnia, mentre lui osservava il resto della squadra giocare immerso nella desolazione e io tentavo invano di risollevargli il morale.

Immaginavo che dovesse essere difficile per lui far parte di una squadra con giocatori formidabili come Hyade Reyes e oltretutto ritrovarsi persino a non poter nemmeno provare ad eguagliarli per via di un infortunio. Poi, Blake era così gentile e amichevole, che mi sembrava assurdo credere che quando scendesse in campo diventasse animalesco come il resto dei suoi compagni.

Inoltre, mi ero persa a guardarlo più volte, tra lo stridere delle scarpe da ginnastica sul parquet e il rumore dei tonfi consumati della palla da basket, che non riuscivo a capacitarmi di come avessi potuto notarlo solo dopo che si fosse fatto avanti lui stesso. Solitamente ero il tipo di persona che si lasciava subito conquistare dalla bellezza del mondo, ero una fotografa dopo tutto, nonché un'osservatrice nata, ed era strano che non mi fossi accorta di lui. Insomma, uno come Blake Davis era difficile da mettere in ombra.

I capelli scuri e le sue guance morbide erano bastati ad addolcire l'amaro che mi aveva lasciato in bocca Hyade, aiutandomi a superare la rabbia causata dal suo affronto senza realmente fronteggiarlo o offendermi inutilmente, dal momento che ero certa non gliene importasse poi molto della reputazione che si era fatto sotto i miei occhi. Si poteva quindi dire che avevo mantenuto il mio rapporto con lui indifferente, ritrovandomi ad evitare i molteplici inviti da parte di James ad eventi in cui sapevo ci sarebbe stato e limitandomi a salutarlo di sfuggita ogni qualvolta ne avessi avuto l'obbligo.

Succedeva però, prima delle partite, che Hyade venisse a cercarmi per chiedermi di legargli i capelli e sistemarli in trecce ben tirate, in modo tale che non gli dessero fastidio durante la partita. Questo era l'unico contatto che mi ero limitata a mantenere, fondamentalmente perché non me la sentivo di negargli un favore tanto sciocco e banale e poi perché nel dirgli di no gli avrei sicuramente lasciato intendere che ci fosse qualcosa che non andava, quando l'unica cosa che volevo era semplicemente evitare di affezionarmi a lui più di quanto fosse necessario, dal momento che avevo avuto un buon avvertimento sul modo in cui fosse capace di spezzare i cuori. E io ero stanca di soffrire per ragazzi che non se lo meritavano.

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