46. Nel mezzo di un gelido inverno

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Hyade

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Hyade

Non importava quanto stanco io fossi o se avessi appena mangiato così tanto da venir meno ai patti con il coach sulla mia dieta, non poteva influire nemmeno il fatto che il coach fosse nella stanza accanto o che a guardarci ci fosse Tonya Cooper che aveva una grande capacità di notare i dettagli, perché non appena vedevo Chloe persa nel suo mondo, fatto delle sue emozioni, con gli occhi blu che brillavano a osservare semplici lucine appese al soffitto o ad ascoltare una particolare canzone che le piaceva, andavo indubbiamente, inesorabilmente, tremendamente fuori di testa.

Questa era una cosa con cui non avevo ancora imparato a convivere, nonostante accadesse ormai dall'alba dei tempi e il fatto che gli bastasse guardarmi dal basso, dentro un ascensore, con una ciocca di capelli che gli ricadeva sul volto e il suo broncio adorabile, a suggerirmi che le sarebbe bastato un bacio per quella sera, era abbastanza per farmi cedere come un bambino di fronte a un pacco di caramelle. E, onestamente, se non fosse stato per Blake Davis, sarei stato già con la testa da un'altra parte.

C'erano veramente poche cose che avrebbero potuto tirare giù il mio umore in quel modo, mentre le sue dita vellutate si incrociavano alle mie e, anche lei assonnata, poggiava la testa sul mio braccio per sorreggersi dalla stanchezza. Era evidentemente fiacca, lo vedevo dai suoi passi lenti, dalle occhiaie scure, dalla pelle scolorita del suo volto, eppure ero certo che non saremmo mai andati a dormire quella notte, nonostante fossimo entrambi stremati e a pezzi.

Mi bastò però vedere Devis seduto sulla mia auto per cambiare idea, perché non appena il mio sguardo incrociò il suo, mi fu chiaro che qualsiasi mio piano sarebbe presto andato in fumo.

«Blake...» mormorò appena Chloe, sorpresa forse il doppio di quanto lo fossi io. Sul suo volto genuino non piovve neanche un misero accenno di risentimento o di rabbia, ma solo sorpresa e forse timore.

Scattai all'istante. Istintivamente, mi posizionai di fronte a Chloe in un gesto protettivo, nella speranza che questo sarebbe bastato a fargli comprendere che stava venendo meno ai nostri patti e che non avrebbe dovuto sorpassare tale limite. Ma Blake era imprevedibile e la sua aria di strafottenza e superiorità mi colpì all'istante, mentre nel silenzio del parcheggio sotterraneo si riposizionava sulle sue gambe per farsi più vicino.

«Bella partita», commentò immediatamente, con tono sprezzante, ed ero certo che le cose si sarebbero presto fatte brutte. Perché era stato difficile già di per sé non ammazzarlo di botte in campo, figuriamoci in un parcheggio vuoto come quello.

Chloe rimase in silenzio, percepii le sue dita appigliarsi alla felpa lungo i miei fianchi che avevo indossato dopo la conferenza, facendomi intenerire all'idea che fosse così indifesa dal mondo e allo stesso tempo riuscisse a maneggiarlo tra le sue mani come un'opera d'arte.

«Che vuoi, Blake?» gli domandai spazientito, già realmente indispettito che mi stava rubando del tempo, quando in quel momento avrei potuto essere già per strada diretto verso casa di Chloe, pronto a sfruttare al massimo quell'oretta che il coach usava per passare a salutare Marla dopo una partita.

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