32. Un'amaca rossa

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Chloe

Per quando Hyade si decise ad uscire dalla vasca da bagno, si poteva dire che la sbronza gli fosse passata abbastanza da riuscire a fare le cose essenziali per conto suo e di questo ne fui sollevata, perché anche se non trovai alcun imbarazzo nel restare accovacciata accanto alla vasca e nel sentirlo ripetermi cose a volte poco sensate e altre che mi facevano ridere più del dovuto, non me la sentivo di fargli da balia come se non fosse in grado di badare a se stesso.

Finimmo così a dormire nel mio letto, con Hyade che aveva gli occhi ancora gonfi e la gola che gli bruciava, ma comunque decisamente più sereno rispetto a quando lo avevo trovato poche ore prima e anche fin troppo felice di potersi addormentare con me stretta tra le sue braccia, tanto che mi ci volle un po' per abituarmi alla pressione che continuava ad esercitare sulla mia schiena mentre il suo respiro si rilassava contro il mio collo.

Il mattino seguente, quando mi risvegliai lui aveva già tolto i vestiti di mio padre che gli avevo prestato per la notte e indossato quelli della sera prima, lasciandomi a osservarlo assonnata mentre, tra un'imprecazione e l'altra si preoccupava di ritrovare le sue cose in tutta fretta perché aveva un impegno che non poteva proprio rimandare. Mi accontentai comunque di ricevere un grosso bacio sulla guancia, prima di vederlo correre definitivamente via dalla mia stanza, mentre col telefono contro la guancia chiamava un taxi che lo avrebbe portato a riprendere la sua auto lasciata fuori al locale della sera precedente.

Per quando mio padre e Marla tornarono, alla fine del weekend, di Hyade a casa mia non ne era rimasta più traccia e si poteva dire che un po' mi dispiacesse. Sapevo che, essendo un importante giocate di pallacanestro, aveva la sua vita praticamente organizzata e capivo che non c'era modo per lui di cambiare le cose, ma vederlo scivolare via dal mio letto mi lasciò un certo vuoto addosso che mi costrinsi ad ignorare per evitare di rimuginarci troppo sopra.

Quando quel pomeriggio scesi le scale silenziosamente, credendo che Marla se ne fosse ormai tornata a casa sua dopo il pranzo che avevamo passato insieme, non avevo calcolato che il mio umore negli ultimi tempi era stato ben evidente anche attraverso gli occhi delle persone che mi circondavano. Avevo cercato di evitare l'argomento del mio distanziamento con Hyade e non avevo raccontato a nessuno delle foto dei paparazzi, ma Marla restava una grande osservatrice e quando sentii il mio nome essere pronunciato a bassa voce proprio da lei stessa, non riuscii a fare a meno di avvicinarmi di soppiatto verso la porta della cucina rimasta socchiusa e nascondermi per origliare.

Sbirciai dallo spiraglio, notando mio padre e Marla intenti a chiacchierare mentre tra le mani stringevano uno dei particolari tè che avevano riportato direttamente dalla SPA.

«L'ho sentita che piangeva, Phil», le parole di Marla mi fecero trattenere il respiro, mentre realizzavo che i miei pianti isterici notturni non fossero rimasti poi così personali.

Mio padre alzò gli occhi al cielo e mi ritrovai a sentirmi piuttosto frustrata nel sapere che Marla stava invadendo la mia privacy in quel modo. «Fai solo finta di niente, Marla», le rispose con ponderata calma.

«Quindi vuoi restare a guardare mentre tua figlia crolla?» continuò imperterrita, con tono di sfida.

«Chloe sta bene, sa badare a se stessa», mio padre mi conosceva e il fatto che riponeva in me così tanta fiducia da credere che potessi prendere da me le giuste decisioni mi fece sentire orgogliosa e fortunata di averlo.

«Phil...»

«Che cosa vuoi che faccia, Marla?» alzò il tono di poco. «Intromettermi nella vita privata di mia figlia come se avesse ancora otto anni? Oh... ti assicuro che anche a otto anni era difficile da far ragionare», osservai mio padre fulminarla con lo sguardo e il petto mi si strinse all'idea che potessi essere la causa di una loro discussione.

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