43. La magia delle tisane di Marla

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Chloe

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Chloe

Soleil aveva due occhi così intensi e profondi da lasciare senza fiato e le sue labbra carnose non avevano ancora terminato di pronunciare quella maledetta frase quando feci capolino da dietro le spalle di Hyade, osservandola interdetta per qualche istante.

Il suo sguardo corse all'istante da Hyade a me e tutta la dolcezza, l'emozione che stava lasciando trasparire sul suo tenero volto si tramutò in un singulto sorpreso. In un attimo i suoi occhi speranzosi sembrarono divenire consapevoli e tirò su un'espressione plateale che mi fece restare titubante per qualche secondo.

Per allora il mio sguardo era tornato sulla testa china di Hyade, che con le nocche bianche stringeva ancora la maniglia della porta, e il modo in cui le sue spalle si alzarono in risposta a un respiro profondo mi fece annacquare gli occhi istintivamente.

Le mie labbra dischiuse non riuscirono a proferire parola, nonostante in tutto quel silenzio rimasi costantemente col fiato in gola, sempre sul punto di dire qualcosa, ma non riuscendo a decidermi a dar voce ai miei pensieri.

Un bacio. Un bacio. Si erano dati un bacio l'altra sera. Mentre io me ne stavo impaurita a fare un bagno, nella speranza di non sembrare una fidanzatina gelosa. Il pensiero della chiamata di Hyade fu una stangata forte contro il petto, i miei occhi già umidi avevano cominciato a sbattere le palpebre violentemente nella speranza di riassorbire le mie stesse lacrime e per quando Hyade iniziò a richiamare il mio nome, io avevo già preso a muovermi senza rendermene conto, come un automa.

Le scarpe, i miei vestiti, la mia pochette. Iniziai a raccattare le mie cose in silenzio, con lo sguardo basso nella speranza che sarei semplicemente potuta scomparire via all'istante.

«Chloe, che fai?» la voce roca di Hyade mi richiamò ancora, mentre mi osservava dalla porta, con Soleil adesso alle sue spalle.

Non dissi niente. «Fermati un secondo.» La sua presa leggera sulla mia spalla, mentre mi piegavo per raccogliere le mie scarpe dal pavimento, mi causò una scarica di adrenalina improvvisa e così, con una spallata, mi liberai della sua mano per poter raggiungere l'uscita e varcare la soglia della porta con l'intento di andarmene via.

Non la guardai nemmeno in faccia la ragazza ammutolita rimasta ferma sul corridoio e non perché mi vergognassi o la temessi, ma perché i ricordi della notte appena trascorsa, ancora ben espressamente nitidi nella mia testa, continuarono a rincorrersi in un turbine di paure e consapevolezze.

«Chloe!» gridò ancora Hyade.

Non mi importò nemmeno del fatto che ero a piedi nudi sulla moquette del corridoio, che stavo indossando ancora i suoi vestiti, che non avevo nemmeno avuto il tempo di sistemarmi i capelli prima di uscire da quella camera. E quando nel mezzo del corridoio che riuniva tutte le camere dei Taurus, Hyade mi afferrò il braccio, non riuscii a trattenere la rabbia per il fatto che il mio corpo reagisse al suo anche in un momento come quello.

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