18. Dio, se solo...

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Hyade

Un'altra partita era andata vinta e c'erano poche altre cose che avrei voluto fare in quel momento, a parte starmene sdraiato sugli scomodi sedili di quell'autobus.

Odiavo le trasferte vicine, perché ci dovevamo fare ore di autobus interminabili e poi tornavo a casa indolenzito. Avevo ormai persino scordato il nome della squadra appena sconfitta, mentre incrociavo le braccia al petto e poggiavo la testa sul finestrino.

Ero stremato, esausto, completamente andato. La doccia postpartita non aveva fatto altro che farmi percepire i muscoli doloranti e per questa ragione, anche se eravamo quasi arrivati a Chicago, me ne stavo con gli occhi socchiusi e i capelli tirati indietro da un berretto, ad attendere semplicemente di potermene tornare nella mia casa vuota a dormire.

Questo pensiero mi fece sospirare malamente, mentre chiudevo gli occhi e mi perdevo nella mia enorme felpa a chiedermi cosa ci fosse di più triste del rientrare in una casa vuota. Mi mancava l'Inghilterra.

L'autista prese una buca e mi ritrovai ad imprecare a causa della capocciata che diedi contro il finestrino, tornai solo in seguito a chiedermi quanto fossero maledettamente scomodi gli autobus.

Forse quello che mi mancava dell'Inghilterra era casa mia, dove mia madre e mia sorella mi accoglievano la sera e mi aspettavano per mangiare insieme. Che avrei mangiato quella sera una volta tornato a casa? Ero troppo esausto persino per fare una chiamata e ordinare una pizza. Probabilmente sarei finito dritto sul letto a dormire come un bambino.

Il mio letto che nelle ultime due settimane era stato più scomodo del solito. Avevo infatti fatto fatica a cambiare le lenzuola dopo che Chloe se n'era andata, perché il suo profumo era rimasto ad impregnarle e anche se mi ero concesso di dormire in quel retrogusto di fiori per altre due notti, poi avevo dovuto farmene una ragione, perché il mio cervello aveva iniziato a fumare all'idea che lei non rispondesse più ai miei messaggi e che fossi costretto a legare i capelli in una crocchia prima delle partite.

Mi stava ignorando, avevo visto persino Tonya seguirci da sola per scattare foto al posto suo e non c'era stata cosa più tremenda di ricordare la sera del luna park e la mattinata seguente, mentre mi chiedevo se fossi stato tanto oltraggioso da costringerla a scappare in quel modo.

Era difficile non ritrovarmi a pensare alle sue labbra piene dischiudersi dal piacere, mentre lasciavo languidi baci sulla sua pelle liscia e morbida. E poi il modo tranquillo con cui mi aveva guardato prima di addormentarsi, mi aveva fatto restare sveglio tutta la notte, ad osservarla e a chiedermi che cosa significasse poterla avere completamente.

Le sue labbra morbide, la dolcezza intrinseca nei suoi movimenti, le cosce sudate. Le avevo immaginate e poi ero tornato con la fantasia ancora e ancora a ripercorrere il suo corpo, chiedendomi che cosa sarebbe accaduto se Casey non fosse venuta a disturbare. Chissà se era stata lei a farle cambiare idea.

Non ne sarei stato sorpreso, ma non potevo fare a meno di chiedermi cosa avessi sbagliato, perché se ripensavo a quella mattinata la mano prendeva a tremarmi all'idea di come la sua pelle si era arrossata sotto la mia presa e al modo in cui mi aveva chiesto di non fermarmi. E mi ero fermato, come uno stupido mi ero fottutamente fermato. Avevo avuto la mia occasione e l'avevo lasciata svanire con le mie speranze di poter tornare a casa e magari ritrovare lei ad attendermi.

Dio... se solo avessi potuto avere tutto, avrei probabilmente scelto di rientrare a casa e trovarla ad imbrattare le mie lenzuola col suo corpo. La stanchezza sarebbe svanita all'istante ed ero certo che dopo averla baciata mi sarebbe tornata anche la forza di ordinare la pizza o del cibo cinese e poi mi sarei agitato ancora nel vederla mangiare dei noodles impacciatamente e allora avrei continuato a baciarla tutta la notte, senza fermarmi, nemmeno quando lei me l'avrebbe chiesto. Dio, se solo...

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