19. Come un diavolo

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Chloe

Hyade e le sue fossette erano rimasti impressi nella mia testa per giorni, a puntellarmi la pelle come tanti piccoli chiodi ad affiggermi contro la parete in un quadro appeso di disperazione.

Non piangevo così tanto da quando io e Derek ci eravamo lasciati e la ragione per cui mi fossi ritrovata giornate intere rinchiusa in camera mia, a cercare di comprendere che cosa mi tormentasse così tanto, era stata proprio quel ragazzo che stavo cercando di evitare ad ogni costo.

Adoravo Hyade e i suoi occhi verdi, perché era unicamente lui, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, si dimostrava sempre sincero e interessante. Avevo però capito che esercitasse su di me un effetto troppo grande per essere ignorato e ciò che temevo di più era il restare ferita senza che lui se ne accorgesse.

Mi ci erano voluti giorni per ritrovare la forza di uscire di casa e anche tanto aiuto da parte di mio padre, Marla e Tonya. Forse era bastato quell'episodio a far capire a mio padre che non fossi ancora pronta per ritornare alla vita di tutti i giorni, a lasciarmi andare completamente.

Gli avevo raccontato ogni cosa che mi pesasse sul cuore, perché nonostante gli argomenti fossero intimi e difficili da trattare con un genitore, soprattutto se del sesso opposto, lui restava comunque l'unica persona ferma nella mia vita, se non la più importante e aprirmi con lui era sempre stata una cosa che mi aveva permesso di superare i momenti peggiori della mia vita, compresa la morte di mia madre.

Mio padre era un uomo come pochi, perché mi aveva ascoltata calmo e sereno e aveva sorriso quando io mi ero lasciata sfuggire un sorriso a mai volta, poi si era inoltrato tra le pieghe del mio piumone e mi aveva stretto contro il petto solo una volta certo che avessi terminato di spiegargli tutto quanto. «Va bene tesoro, va bene così» mi ero aggrappata alla sua maglietta, quando le lacrime erano tornate a spingersi tra le mie ciglia. «È la vita... e a volte si soffre. Ci sono persone che soffrono tanto e persone che nella sofferenza ci annegano, questo non ti rende meno capace degli altri, ma solo più felice quando vivi le cose belle. Chloe...» mi aveva poi guardata negli occhi e asciugato le guance arrossate. «Non sentirti in colpa per provare le cose tanto intensamente. A volte è più bello così».

E poi mi ero ritrovata ancora da sola a chiedermi se fosse vero che percepire le cose più profondamente degli altri fosse una virtù invece che una disgrazia, ma era bastato quel dubbio a farmi tornare la voglia di riacquistare la mia serenità.

E ora che avevo rimesso insieme i pezzi, ancora traballanti e incastrati male tra di loro, mi restava difficile ignorare Hyade sapendo che fosse seduto su un divanetto a mangiarmi con gli occhi. Vestito in un completo elegante, con la cravatta scura e i capelli disordinati. Ed era ancora più difficile rendermi conto che stessi facendo fatica a credere che non si sarebbe avvicinato prima o poi.

Non volevo sul serio ridurmi come una delle sue conquiste, a pregare per ricevere le attenzioni che una volta stufatosi di me avrebbe indirizzato ad un'altra ragazza e quello era il momento di rispettare me stessa, di mettere una fine a quella storia che ci fosse tra di noi prima che potesse spingersi oltre e farmi troppo male.

Ma Hyade era pur sempre Hyade e sarei stata una stupida a negare che non mi avesse colpita ancora, con la barba sfatta e gli occhi vispi a controllare ogni mio movimento. Mi ero sentita così intimorita che avevo chiesto a Tonya di andarcene via dalla pista, perché non ne potevo più di sentirmi una preda, la sua preda.

Avevo bisogno di un altro drink e anche di restare da sola per un po', magari cercando di riacquistare abbastanza distanza per ritrovare le mie ragioni che improvvisamente sembravano essere sfumate.

Assicurai allora a Tonya, dopo esserci procurate due drink dal sapore sconosciuto, che mi sarei allontanata per un po' e lei aveva annuito, lasciandomi con l'intenzione di trovare un posto quieto in cui fermarmi a terminare il mio drink.

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