CAPITOLO 50

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SARAH

Capisco la preoccupazione di mio padre, la sua ansia e il suo dolore, ma quello che proprio non capisco è la sua decisione senza nemmeno consultarmi. D'accordo che si fida ciecamente di Matt, ma Cristo Santo... non posso andare a casa sua. Sono grande a sufficienza per badare a me stessa, non mi serve una balia per la notte, anche perché non riuscirei a dormire; il pensiero volerebbe dentro a quella stanza asettica in cui è ricoverato mio fratello. «Papà, posso tranquillamente andarmene a casa. Da sola. Non serve che resti da Matt» preciso, nella speranza che cambi idea. Lui fa un passo verso di me, stringendomi tra le braccia e trasmettendomi tutto l'amore che un padre può trasmettere alla propria figlia.  «So benissimo che sai badare a te stessa, piccola. Ma fai felice il tuo vecchio: resta da lui per un po', almeno finché Jesse non inizia a migliorare». La preoccupazione nella sua voce mi fa rabbrividire. In diciassette anni di vita non l'ho mai sentito così spento, così apatico. Mai. Nemmeno quando nonna Joey è stata ricoverata d'urgenza in ospedale per un malore improvviso. Farei di tutto per la mia famiglia e se sapermi a casa dell'uomo che mi sta facendo esplodere cuore e mente lo fa sentire più tranquillo, non posso che accettare la sua decisione. «Va bene, papà. Quando vuoi andare, Matt, io sono pronta». Lui non parla, si limita a un piccolo accenno con il capo. «Ci vediamo domani, Sam» lo saluta, e in silenzio, come due anime perse pronte ad affrontare l'ira degli inferi, ci allontaniamo.

Casa di Matt non dista molto dall'ospedale; dopo quello che ci è accaduto per colpa di Jack, ha deciso di non restare nella vecchia villetta di famiglia ma di trasferirsi in un piccolo appartamentino a pochi chilometri da casa dei suoi e dei miei genitori. Il quartiere è uno dei più vecchi e suggestivi di Salt Lake City, circondato da case d'epoca e con la vista più bella che uno possa immaginare sui monti Wasatch. In pratica, un piccolo paradiso. Il tragitto è pressoché silenzioso, a farci compagnia c'è solo la musica proveniente dall'impianto stereo che trasmette sdolcinate canzoni d'amore una dietro l'altra. Perfetto! Proprio quello che ci vuole in questo momento. «Grazie per la tua ospitalità» dico, interrompendo quel maledetto silenzio che si è creato tra di noi a causa di quella fatidica notte di un anno fa. «Non serve che mi ringrazi, Sarah. Forza, andiamo in casa, è tardi» annuisco, e una volta scesa dalla sua auto lo seguo lungo il vialetto che conduce all'ingresso del condominio. Il monolocale è piccolo ma particolarmente grazioso. Mia madre e Angel si sono impegnate molto a renderlo presentabile. Lo stesso hanno fatto con quello che mio fratello condivide ormai da mesi con Valerie. Si sono improvvisate "tutto fare", ridando vita a un appartamento rimasto disabitato da anni e ormai in disuso. «Casa la conosci, perciò sentiti libera di fare quello che vuoi, okay?». La voce forte e roca che conosco ha lasciato il posto non solo alla stanchezza, ma soprattutto alla preoccupazione. «Andrà tutto bene, Matt. Hai sentito cos'ha detto il dottore, no? Jesse, è forte e in men che non si dica tornerà a essere quello di sempre». Provo a tranquillizzarlo, ma la mia voce tremante e poco convincente non gli è di aiuto. Anzi, risulta essere tutto l'opposto. Infatti, la rabbia che pochi istanti dopo trapela dalla sua bocca mi spaventa, lasciandomi impietrita. «Stronzate, Sarah. Tutte stronzate».

«Perché dici questo? Credi che il dottore abbia mentito?»

«Credo a quello che vedo, non a quello che sento» tuona, senza immaginare quanto dolore possano causarmi le sue parole. «Che vuoi dire?» gli domando con voce tremante e appena udibile. «Che voglio dire? Lo hai visto, Sarah? Hai guardato in che condizioni è tuo fratello per colpa di un coglione ubriaco che ha preso il vialetto contromano e lo ha caricato sul cofano della macchina come un fottuto sacco di patate? Lo hai fatto?» ringhia, sempre più vicino al mio viso. Inizio a avere paura, cosa che in sua compagnia non mi è mai successa. È buio, molto buio, solo un piccolo bagliore attraversa la stanza illuminando il suo viso teso. Ed è proprio in quel momento che riesco a vedere i suoi occhi: disperati e offuscati da quelle stesse lacrime che gli ho visto versare poche ore fa davanti a mio padre. Senza pensare, afferro il suo bellissimo e tormentato viso tra le mani e incollo le labbra alle sue. Inizialmente, la sua reazione è di puro stupore, poi, dopo avergli cancellato le lacrime con piccoli e casti baci, la sua indole da predatore si riaccende, riportandomi il mio Matt, quello che nonostante tutto il dolore che inconsciamente mi provoca, mi fa stare bene e che amo incondizionatamente. «Perché lo hai fatto, angelo?». Angelo. Perché io e solo io sono il suo dolce angelo. «Non lo so. Mi è venuto spontaneo farlo. Odio vederti così, e se piccoli baci sono serviti a cancellare un po' del dolore che stai provando, ne solo felice» mi limito a dirgli, anche se la verità è tutt'altra. Volevo baciarlo. Desideravo poter assaggiare ancora una voltale sue morbide labbra. «È buffo, sai! Dovrei essere io a consolare te e non il contrario» ironizza un istante prima di ritornare serio. Siamo ancora vicini, così vicini da sentire i miei seni sfiorargli la t-shirt che indossa. Nonostante il caldo e la totale assenza di aria condizionata, inizio a sentire freddo e lui se ne accorge. «Perché stai tremando?» mi sussurra. Mentre il suo fiato caldo infiamma il corpo, le sue mani callose iniziano a tracciare una scia piacevole su tutto il corpo. Poi accade. Mi bacia. No, meglio... mi divora. La sua bocca è esigente, passionale, dolce ed è proprio dove deve essere: sulla mia, pronta a estirpare il dolore che sta irrimediabilmente danneggiando le nostre anime.

Matt (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora