48. La nostra bolla è scoppiata?

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𝐌𝐢𝐚

"Forse avresti dovuto avere una reazione più pacata, che sbottare in quel modo" mi suggerisce Shelley.

"Non lo so, non lo so più.  Sono andata in palla quando ho sentito Seattle e i ricordi sono arrivati come una raffica di vento improvvisa" spiego triste. 

Siamo sedute sotto un albero spoglio delle sue foglie, coperte dal nostro giubbotto pesante. Il campus non è affollato, dato l'aria fredda pungente, ma io e Shelley ci troviamo bene comunque.

Domani sarà la vigilia di Natale ed io e Damon ci sentiamo raramente da qualche giorno ormai, dal giorno in cui  l'ho lasciato  al bar da solo. Mossa da vera stronza in effetti, ma il mio intento non era quello di mostrarmi come una stronza senza cuore, anche se ormai è sempre così.
Nel momento in cui non sono in grado di reagire alle emozioni improvvise, a qualcosa di inaspettato, quella corazza che con lui credevo di aver abbassato del tutto si rialza un po', facendo uscire quel lato di me che  non pensavo fosse ormai una parte del mio carattere.

A forza di fingere di avere un carattere pessimo, di essere sempre preparata a tutto e fare la gelida ragazza apatica un po' lo sono diventata.
Succede sempre così.

"Quindi adesso? Non vi parlate?"
Scuoto le spalle in senso di incertezza. Non lo capisco neanche io. Lui ha provato a parlarmi ma io mi sono chiusa a riccio dicendo un misero 'scusami' e facendo un sorriso di circostanza, mi sono sentita pessima.
Parliamo quasi a forza e a me sembra di essere caduta da una nube, proprio come nel mio sogno di qualche notte fa.

È come se la nostra bolla fosse scoppiata nel momento in cui ci siamo detti di amarci e le circostanze, le situazioni, il fato e non so cos'altro abbiano iniziato ad andare contro di noi.
Sembrava fosse il momento che andasse tutto meglio adesso e invece no.

Io sono sicura di ciò che provo per lui e del suo amore per me, eppure sembra quasi che adesso non possiamo viverci a pieno i nostri sentimenti l'uno per l'altra.
"Renditi conto, talmente siamo in una situazione di freddezza che non so cosa farà lui domani sera, con chi passerà il natale, se lo festeggerà, e lui di conseguenza non sa che io parto domani mattina per andare da mio padre.." confesso.

Shelley spalanca gli occhi. "Perché non fai qualcosa Mia?" bella domanda.
Sono sicura del suo amore per me e del mio amore per lui ma questa situazione rimane in bilico, noi rimaniamo in bilico.

Vorrei andare da lui e dirgli come mi sento, ma mi blocco sempre. Cosa mi aspetto che mi dica? Che rinunci al suo futuro per me? Che mi dica 'tranquilla non partirò' per accontentarmi? No, non lo farò.
Sono consapevole che se lui andrà a Seattle avremo una relazione a distanza, ma il problema è che quella città a me fa paura! Mi mette un'ansia addosso incredibile, non riuscirei a lasciarlo andare. E ho paura, una fottuta e stupida paura che non ritorni più e che io non sarò in grado di raggiungerlo un giorno!
E non posso e non voglio dirgli nulla, perché non sarò una stronza egoista che gli dirà di mollare la sia futura carriera, il suo sogno, per me! Non succederà mai.

"È un casino, Shelley, un enorme casino" mormoro a bassa a voce non rispondendo alla sua domanda a voce alta, ma disperandomi nella mia testa.

𝐃𝐚𝐦𝐨𝐧

"Quindi non devo raggiungervi io?"
"No tesoro, abbiamo pensato ecco..che forse potremmo rivederci tutti nella nostra vecchia casa.." dice mia madre cauta. Sussulto a quelle parole.

La nostra vecchia casa? La nostra vecchia casa a Denver? "Non l'avete venduta?" domando sorpreso mentre sento mia madre sospirare dall'altro lato.
"No Damon, l'abbiamo tenuta. Io e tuo padre vorremmo riprendere i rapporti con te e recuperare tutto il tempo che abbiamo perso in questi anni, per questo motivo non vorremmo che tu prendessi un aereo per venire qui da noi..e poi verrebbe vicino anche ai nonni che sono rimasti in quella città. Non penso sarà un problema raggiungerci in macchina..." spiega accuratamente come se progettasse questo Natale da secoli.

"Eppure mandarmi un rappresentante dell'ospedale di Seattle per propormi un lavoro lì non vi è passato proprio dalla testa.." replico freddo senza volerlo.
"È..diverso.." cerca di giustificarsi e se mia madre non è cambiata, in questo momento le si è formata una ruga in fronte per il cipiglio che assume la sua faccia. "Hai fino alla laurea per prepararti psicologicamente alla nuova situazione, se accetterai ovviamente" non fa una piega quello che dice, giustamente.

Non studio io psicologia. Dico mentalmente pensando subito ad una ragazza dai capelli neri e gli occhi gelidi.
"Va bene" accetto senza andare oltre.
"Damon..non vogliamo complicare le cose.." mormora.
Lo state già facendo, vorrei dirle. Ma sto zitto.
Sto zitto perché sto cercando di migliorare le cose con loro.
Sto zitto perché so che mi vogliono ancora bene.
Sto zitto perché non voglio attaccare il telefono in faccia a mia madre per i nervi a fior di pelle.
Sto zitto perché non voglio far riaffiorare i ricordi adesso.

"Ci vedremo a Denver, partirò domani sera" dico cercando di nascondere il mio vero tono di voce e cercando di non essere troppo duro.

Mia madre mi saluta più tranquilla e attacco il telefono.
Mi butto sul letto con un paio di occhi azzurri nella mente. Ma perché me ne sono innamorato?
Sarebbe tutto più facile, se non fosse così.
Sono così innamorato di lei, che non sentirla così vicino a me in questi giorni mi logora.
Ho provato a parlarle, ma lei sembra voler nascondere ciò che realmente vorrebbe dirmi.

Lo vedo dai suoi occhi che non è se stessa, siamo quasi delle macchine quando siamo insieme adesso. Risposte a monosillabi, occhi spenti e confini che pensavo avessimo superato.
Sono più che sicuro che la sua reazione è dovuta alla proposta per Seattle, ma io avrei tanto voluto parlarne con lei, decidere, fare mente locale, insieme a ciò che anche lei mi avrebbe suggerito.
Qualsiasi decisione prenderò, sarà presa con la consapevolezza che non voglio averla lontana.
Questo lo sa lei vero? Sa che non la lascerei?
O forse no. Dice una vocina dentro di me.
Forse non vuole dirti niente perché la pensa in modo molto diverso ma non vuole apparire egoista con te.

Una lampadina si accende in me. Forse dovrei dare ascolto alla mia vocina; ma lei non sarà mai egoista, dal momento che mi ama, dovrebbe capirlo.
Ma come dovrei farglielo capire? Mia è una testa dura, orgogliosa e impulsiva, si farebbe odiare da me, cosa improbabile, per non farmi rinunciare al mio sogno.
Ma se lei non fosse scappata quel giorno le avrei detto che anche a me fa dannatamente paura tornare a Seattle. Tanto. Troppo adesso.

Infilo le mani tra i capelli. Ahh! Vorrei urlare così forte per sbollire i nervi.  Non so neanche cosa farà per Natale, se andrà da suo padre se resterà qui, anche se ne dubito.

Vorrei prendere a pugni qualcosa del nervoso, perché quel giorno al bar avrebbe dovuto ascoltarmi.
Vorrei prendere a calci qualcosa perché quando  ho provato a parlarle mi ha detto semplicemente 'scusami' e mi ha sorriso imbarazzata.

Vorrei far sanguinare le mie nocche perché avrei voluto che lei mi dimostrasse che mi conosce bene e che sa che  non la lascerei mai per il mio sogno, perché la soddisfazione più grande per me è riuscire a farla stare bene e vorrei urlare di rabbia perché sono un fottuto sdolcinato.

Ma l'unica cosa che faccio e alzarmi dal letto e andare di fronte lo specchio del bagno.
Tolgo le mie lentine e guardo i miei occhi e subito un magone mi si forma nello stomaco.
Guardo il mio riflesso, guardo i miei occhi.
Come posso pretendere che mi conosca così bene se non riesco a mostrarle i miei veri occhi?

So che le pesa vedere sempre le mie stupide lentine rosse, ma fa finta di niente perché mi ama ed io amo lei.  Ma come può amarmi se non sa il vero colore dei miei occhi? Forse è da li che capisco proprio quanto tiene a me.

Come posso pretendere che mi conosca alla perfezione se io stesso forse non mi conosco più ? Se non riesco a guardare i miei stessi occhi del loro colore naturale?

Sospiro e rimetto le lentine rosse.

Il ragazzo dagli occhi di fuoco Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora