41. Red Eyes

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𝐌𝐢𝐚

"Vieni con me." Pronuncia queste parole piano  quasi sussurrate al mio orecchio. Sembra che voglia che risponda di sì e basta, senza chiedere lui spiegazioni. Forse dovrei lasciarmi andare ancora una volta con lui, farmi spiegare perché mi ha mentito, farmi spiegare cosa è successo adesso.

"Dove vuoi andare?" gli domando cauta. Non sono sicura della mia scelta. Lui in risposta, scrolla le spalle. "Dove vuoi tu, basta che ce ne andiamo adesso insieme" mi accarezza il viso e afferra la mia mano. Io lo guardo attentamente, cercando di scorgere nel suo viso una qualche espressione che possa farmi dubitare della sua sincerità, ma niente. È sincero.

Annuisco alla sua richiesta e mi lascio trasportare da lui, addio lezione di arte per oggi. Spero che Thomson non se la prenda per queste assenze.

Io e Damon camminiamo a passo veloce, cercando di sfuggire all'imminente pioggia.
"Dove mi stai portando?" chiedo cercando di non inciampare  in nessun sasso che mi si presenta davanti. "Vedrai, ti piacerà, spero.." usciamo dal campus e ci addentriamo nel pieno traffico di New York.

Donne con sfarzosi tailleur che parlano al telefono indaffarate, uomini con delle ventiquattrore in mano che corrono per cercare di fermare un taxi, bambini che vengono trascinati dai genitori in una città caotica come questa. I negozi che hanno finito di addobbare le proprie vetrine e qualche impiegato che sta finendo di sistemare le luci per le varie strade.

Natale. Natale sta arrivando, è dietro le porte.
In tutto ciò, Damon mi tiene la mano e mi porta verso una meta sconosciuta. Decido di rimanere in silenzio e vedere dove arriviamo, essendo a piedi penso che non sia molto distante, ma con Damon mai dire mai. Sono arrivata al mare con lui a piedi, quindi figuriamoci.

"Hai freddo?" mi chiede nel momento in cui mi stringo nel mio cappotto. L'aria non è propriamente delle migliori per camminare oggi.
Annuisco. "Giusto un po'." In tutta risposta, appoggia un braccio dietro le mie spalle e mi stringe a sé e continuiamo a camminare così, stretti l'uno all'altro.

Lui non fa domande, sembra pensieroso invece. Ma ho notato come fa attenzione alla minima cosa: le mie mani fredde, il cappotto leggermente aperto, le persone che rischiano di venirmi addosso. Vengo trasportata da lui come fossi di porcellana e questa cosa, oltre a farmi sorridere, mi fa paura. Nonostante i miei sentimenti per lui, io non dipendo da lui, non devo. E devo cercare di rimanere coi piedi per terra e la testa qua giù, non nella bolla che mi ero costruita.

Dopo dieci minuti buoni arriviamo di fronte ad un bar molto carino. Non è particolarmente affollato ed è già addobbato per l'imminente festività.
"Che posto è?" chiedo curiosa guardando l'insegna rossa. Questo colore non fa che perseguitarmi da quando ho incontrato lui.

"Signorina Tate, sono felice di mostrarle il bellissimo e famigerato Red eyes!"  esclama in modo eclatante.

Mi sta prendendo in giro vero? Red eyes? Occhi rossi? Lo guardo stralunata e sorpresa, non ci sono mai stata e il nome mi ha lasciato stordita. Come è possibile?

Improvvisamente mi viene da ridere e lo guardo ridendo mentre lui sembra capirmi e sorride con me.
Entriamo all'interno e ovviamente il colore predominante è il rosso. Decorazioni con il bianco e il nero contornano il resto.

Ci accomodiamo ad un tavolo in fondo che ha la vista su una parte della Grande Mela davvero bella. Il quartiere colorato, affollato, dove dominano più i bambini che giocano che i taxi.
Solo a cinquecento metri più avanti trovo il quartiere di Little Italy, con i ristoranti italiani migliori.

"Ti piace?" chiede completamente a suo agio.
Annuisco. "Eri già venuto?" gli chiedo.

Lui sorride triste. "Era il bar preferito mio e di mia sorella.." ammette. Lo guardo fissare fuori mentre piccole gocce sempre più grandi, iniziando a cadere giù dal cielo, dando il via ad una pioggia liberatoria.

Il ragazzo dagli occhi di fuoco Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora