30. Una parte di me

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𝐌𝐢𝐚.

"Devi riprenderti il prima possibile, non ti lascerò sola a poltrire su questo letto!" la avviso mentre le passo il pacchetto di patatine.
"Ne sono più che sicura" ridacchia.
"Io adesso devo andare a lezione di arte, ma tu sta tranquilla, ti passerò tutte le sante parole di Thompson!" le scatto un occhiolino.

Lei sorride. Non un sorriso di cortesia, un sorriso di gratitudine, vera e pura gratitudine.
"Grazie."
"Non devi Mora, so che mi avresti aiutato anche tu. Passo più tardi" le dico infine facendole un altro occhiolino e correndo a lezione.
Finalmente è stata dimessa dall'ospedale.

Deve stare ancora a riposo, ma fortunatamente nella sua camera. La sua compagna di stanza, Victoria è rimasta scioccata mi ha detto, ma di conseguenza ho detto a Mora che non voglio che si metta in mezzo, né lei né nessun altro.

Va bene la solidarietà, ma se deve essere un argomento su cui spettegolare e che deve essere sulla bocca di tutti, allora no. Non sono per niente d'accordo.
Lei mi ha capito e mi ha sorriso come sempre. Le serve tanto riposo, più per la sua mente che per il suo corpo.
Mi ha confessato che non era vergine, ma un abuso resta un abuso. Ti viene comunque strappata una parte di te, che è la capacità di decidere e volontà.

Cerco di mettere l'accaduto da parte una volta arrivata in aula. Thompson è come sempre in anticipo, già sistemato sulla sua cattedra. Vado verso la terza fila prima che la lezione cominci.
Prendo più appunti possibili durante la lezione, in modo anche da non far mancare niente a Mora, che non vuole rimanere indietro.

Come al solito, Thompson è poesia per le mie orecchie. Non ho mai visto qualcuno spiegare l'arte in questo modo, anzi interpretarla.

I cinquanta minuti finiscono e mi appresto a raccogliere tutto per andare a prendere il caffè con Shelley, ma il professore mi blocca.

"Signorina Tate, giusto?"
"Si, ma ricorda tutti i nomi dei suoi alunni?" dico sorpresa che ricordi il mio tra quarantacinque studenti di arte in quest'aula.
"Mi è difficile dimenticarla dopo la prima chiacchierata che ci siamo scambiati.." dice sincero sorridendomi dolcemente.

Già mi ricordo la prima chiacchierata con lui, ero davvero in subbuglio quel giorno, non che adesso le cose vadano meglio però.
"Beh, mi dica.."
"Come si sente?" mi chiede attento a ciò che dice.
"Perché mi fa questa domanda?" chiedo stranita. Che sappia qualcosa?
"Non faccia finta con me, sono molto informato sulle questioni serie che riguardano questo campus" incrocia le braccia.

"Come?" chiedo solamente, abbassando la voce.
"Mia figlia me ne ha parlato..non deve vergognarsene signorina Tate" il suo sguardi assume una sfumatura seria, molto seria e contrariata.

"Può chiamarmi Mia professore e..aspetti? Sua figlia?" non riesco a capire all'impatto, chi sarebbe sua figlia? Le uniche a saperlo sono Shelley e Victoria, oltre me e Mora ovviamente, ma forse..
"Caroline è sua figlia?" dico sorpresa. "Mi scusi, la signora Ross, la rettrice..?" mi correggo componendomi.
Lui ridacchia:" Si, è mia figlia. Sorpresa vero? Io qui ad insegnare e mia figlia a dirigere  un'università. Assurdo."

"Neanche poi così tanto" dico sorridendo "se ama il suo lavoro e l'arte " aggiungo.
"Quindi Ross è il cognome del marito?" chiedo curiosa. "Mi scusi ancora, sono inopportuna.. " mi imbarazzo per la mia domanda, ma Caroline perché utilizza il suo cognome da sposata a lavoro?

"Tranquilla Mia, va tutto bene. E no, non è il cognome del marito, Caroline è la mia figlia adottiva.." mi confessa lasciandomi di stucco.
"Ha avuto un passato burrascoso, ma come vedi è una donna che cerca sempre di fare la cosa giusta nonostante gli remino contro.." mi spiega.

Il ragazzo dagli occhi di fuoco Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora