6- Dusk till dawn (II)

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La mia figura incerta si specchiava nell'acqua limpida della piscina davanti a me.

Non ero convinta che fosse stata una buona idea seguire Caleb proprio a casa di Philip Reese, soprattutto vista la presenza di un'importante fonte d'acqua vicino a noi. Rabbrividii all'istante al pensiero del mio tuffo nella piscina dei Case e spostai gli occhi infastidita dallo sguardo dubbioso che il mio riflesso ricambiava.

Avevo fatto bene ad ascoltarli?

«Allora?» Caleb si bloccò, voltandosi nella mia direzione. Fece un cenno verso la villetta circondata da una bassa siepe verde, estremamente irritato. «Vieni o no?»

Mi imposi di non alzare gli occhi al cielo. «Arrivo.»

Odiavo quella versione così agitata di Caleb. Calma e pazienza, dovevo avere calma e pazienza, continuai a ripetermi seguendolo a qualche passo di distanza.

«Mi ricordi perché siamo qui?» mormorai, forse chiedendolo più a me stessa che a Caleb.

In tutta risposta, lo vidi alzare le spalle. «Questa è "la tana"» rispose come se non ci fosse bisogno di altre spiegazioni. «La gente viene qui per sballarsi o per bere.» E questa mi sembrava esattamente la ragione principale per la quale voltarci dall'altra parte e tornare alla Peabody Library.

Alla fine però, continuai a seguirlo. La casa ormai era a una decina di metri e un forte rumore di musica ribalzava dalle porte spalancate. Beh, dopotutto, a causa della ressa, non c'era pericolo che qualche ladro tentasse di introdursi al suo interno, anche se a giudicare dallo stato di stordimento degli invitati, probabilmente sarebbero stati proprio loro a offrire quanto di più prezioso si trovasse nell'abitazione.

Un ragazzo seduto su un basso triciclo giallo ci superò cantando "no woman, no cry" e realizzai immediatamente che indossava solamente una pelliccia sfilacciata marrone e un paio di boxer assurdamente stretti.

Taglia, Cassie, taglia!

Riportai gli occhi a un'altezza decisamente più sicura, fissando intensamente la schiena di Caleb che si muoveva di fronte a me, risalendo alcuni gradini.

Credevo che certe scene le avrei viste solamente a Los Angeles dove le poche feste alle quali avevo partecipato erano sempre finite con qualche mobile distrutto e diverse dosi di maionese attaccate alle pareti. Eppure sembrava che gli americani in generale avessero un problema con le serate sobrie.

E quel pensiero divenne un'assoluta certezza nel momento stesso in cui mi infilai in una delle porte laterali che davano sul salone della casa e mi ritrovai mio malgrado tra un gruppo di ragazzi ubriachi che si sparavano freccette di gomma con ingombranti pistole colorate.

Sollevai il cappuccio della felpa, mentre sgusciavo con Caleb verso il lato opposto della stanza, dove due ragazze saltellavano su alcuni tavolini in legno che sembravano aver bisogno di una buona mano di vernice. Imbracciavano due chitarre nel vano tentativo di giocare a guitar hero ma, a ogni mossa, urtavano i bicchierini vuoti di un gruppetto che giocava a poker a terra.

Nonostante tra di loro ci fossero dai giocatori di football, fino ai patiti del club degli scacchi, un elemento accomunava i presenti. Erano tutti completamente ubriachi. O forse fatti, considerando l'odore che si sentiva nell'aria.

Rivolsi un'occhiata eloquente a Caleb, notando quella nebbiolina che avvolgeva l'ambiente e che sembrava ancora più densa ora che avevamo raggiunto il fondo della stanza. Lui però si limitò ad alzare le spalle, poi accostò il viso al mio orecchio, per assicurarsi che lo ascoltassi nonostante la musica alta: «Qui è sempre così» mi comunicò, quasi a giustificarsi. «Faccio un giro e cerco Dean.»

NOCTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora