4 - Start a riot (II)

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I will tear down every wall
Just to keep you warm
Just to bring you home

Le mie iridi rimasero arpionate alla sua schiena, finché Alex non fu inglobato dalle maglie degli altri giocatori della squadra, diventando un'informe macchia blu.

«Grandioso.» Caleb tirò un calcio a un volantino accartocciato accanto a lui. «Adesso quello stronzo avrà una nuova scusa per escludermi dalla squadra.»

Mi rimisi in piedi, ignorando l'insulto. Non potevo permettere che i problemi tra Alex e Caleb compromettessero il mio piano.

«Non succederà... davvero» aggiunsi al suo sguardo scettico. «Vado a parlare con lui.»

Quando pronunciai quelle parole mi sembrò di aver inghiottito un sasso intero. Sentivo che era una pessima idea. Ogni cellula del mio corpo mi urlava di lasciar perdere e di tornarmene a casa, lasciandoli sbollire entrambi, ma quando mai avevo ascoltato la parte razionale del mio cervello? Conoscevo già la risposta: poche volte e, quando si trattava di Alex, ancora meno.

Ogni tanto, mi chiedevo perché mi ostinassi a fare qualcosa, anche se avevo l'assoluta certezza che sarebbe stato un completo disastro. Voglio dire, sembravo imparare dai miei errori, ma allo stesso tempo non riuscivo a evitare di commetterli ancora e ancora.

M'infilai in palestra, notando immediatamente che la maggior parte degli studenti era radunata in gruppetti sparpagliati un po' dappertutto. Dai visi rilassati e dalle chiacchiere rumorose capii immediatamente che avevamo vinto, ma c'era almeno un'altra persona in quella stanza che non si amalgamava al resto del gruppo e rispecchiava il mio atteggiamento teso.

Non impiegai molto a individuare Alex, e il mio stomaco si strinse quando notai che era circondato da un numero assurdo di persone. No, mi correggo, di ragazze.

Non ero mai stata una persona gelosa, forse perché fondamentalmente non ne avevo mai avuto il motivo. Mai avuto una relazione, mai avuto quello che si definisce un migliore amico... insomma era una sensazione che non sapevo neppure se avrei riconosciuto, a essere onesta. Ma quella morsa di panico e nervosismo che si diffuse formicolando famelica dal mio stomaco, mi diede l'assoluta certezza di aver a che fare proprio con quel sentimento.

Rimasi per un istante senza fiato, con i miei piedi bloccati sulla soglia della palestra. Cosa avrei dovuto fare? Lasciar perdere?

Forse sarebbe stata la soluzione migliore. Anzi, ne ero certa. Allo stesso tempo però, mi conoscevo e sapevo di aver bisogno di affrontare la situazione di petto. Subito e in fretta, perché la vita veloce con James mi aveva insegnato una cosa sola: a volte "più tardi" diventa "troppo tardi". E io non volevo che accadesse proprio con lui.

Dovetti però ridimensionare il mio atteggiamento deciso perché, mentre mi stavo dirigendo verso Alex, Dean si piantò di fronte al mio viso.

«Ehi straniera! Dov'eri finita?»

Mi circondò con un abbraccio talmente spontaneo che mi fece venire le lacrime agli occhi. Era un gesto semplice, ma avevo la sensazione che per la prima volta mi avesse costretta a fermarmi per un attimo. La foga di cercare una soluzione alla situazione della Fondazione, mi aveva impedito di vedere cosa stessi combinando. E ora che per un momento riprendevo fiato, mi rendevo conto di aver passato un mese intero senza parlare con nessuno. Improvvisamente sentivo solamente una grande stanchezza e tristezza. Cosa stavo facendo?

Abbozzai un sorrisino, imponendomi di non perdere il controllo proprio in quel momento.

«Sai, i compiti, le lezioni...» mi interruppi, sentendo la mia voce affievolirsi lievemente a causa del groppo in gola.

NOCTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora