11 - La risorsa (I)

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Ero raggomitolata sul sedile dell'auto, mentre giocherellavo nervosamente con i capelli impigliati tra le mie dita. Il traffico sulla I-93 si rincorreva veloce, come la luce dei lampioni che danzava sul volto di Alex, intervallando fasci chiari a coni d'ombra.

Lui però non sembrava affatto infastidito da quei nastri di luce che vorticavano intermittenti. Abbandonava la sua posa granitica, con una mano fissa sul volante e l'altra sul cambio, solamente per voltarsi di tanto in tanto nella mia direzione.

Per controllarmi, credo.

Perché, ogni volta, la sua mano finiva per intrecciarsi alla mia, costringendomi a smettere quella tortura che stavo perpetrando alle ciocche che sfuggivano disordinate dalla mia treccia.

Non ero brava quanto lui a gestire l'ansia, ma non volevo neppure annegarci dentro ancor prima di raggiungere Caleb. Così stavo lì, a osservare i veicoli che sfrecciavano veloci attorno a noi, insieme ai cartelli stradali di città che non avevo mai sentito nominare, cercando di tenere impegnata la mia mente.

Feci ricadere il capo sul poggiatesta in pelle, irrequieta. Indossavo ancora la cuffietta, nonostante nell'abitacolo ci fossero stabilmente una ventina di gradi, ma sentivo un freddo che avvolgeva le mie ossa in profondità. Probabilmente era solo l'agitazione.

Lanciai ancora un'occhiata nella sua direzione, pensando di notare anche da parte sua un accenno di nervosismo che però ancora non si palesava. La fonte non era solcata da segni di agitazione e le labbra erano rilassate. Mancavano una decina di chilometri a Danvers ed eravamo relativamente in orario sulla tabella di marcia. Michael non sarebbe arrivato prima di mezz'ora e noi ci saremmo appostati fuori da casa di Caleb, per seguirli ovunque fosse l'incontro. Tutto sembrava andare secondo i piani ma, nonostante ciò, faticavo a rimanere tranquilla.

«Secondo te, dove lo porteranno?» borbottai per l'ennesima volta, torturando con le dita le pellicine attorno al mio pollice.

Era da un po' di tempo che non parlavamo, eppure Alex non sembrò sorpreso di sentire la mia voce. Vidi alcuni ciuffi scuri accarezzare le sue tempie mentre, con calma, inseriva una marcia più bassa. Avevo intuito che fossimo arrivati alle porte della città, dal modo insofferente con il quale scartava le altre macchine per raggiungere l'uscita dell'autostrada.

«Potrebbe essere ovunque» rispose, controllando brevemente lo specchietto di destra. «Una delle numerose aziende del Sole, la casa di uno dei partecipanti, forse di nuovo il municipio.» Scrollò le spalle, esaurendo le alternative.

Ovviamente aveva ragione. Non avevamo fatto passi in avanti, e quelle elencate erano tutte ipotesi valide.

Mentre ero sul punto di rispondere però, le mie parole si persero sotto al suono squillante che segnalava una chiamata in ingresso.

Alex si affrettò a rispondere, premendo un pulsante sul volante. «Cosa succede, Caleb?».

Non avevo neppure fatto caso al numero comparso sullo schermo incastrato sul cruscotto, ma improvvisamente concentrai tutta la mia attenzione su quel piccolo dispositivo, come potessi veder comparire Caleb da un momento all'altro.

La sua voce riempì in fretta l'abitacolo. «Abbiamo un problema» snocciolò con tono basso. Non aveva azzardato neanche un saluto e la situazione doveva essere seria. «Michael arriverà tra pochi istanti. Dove siete?»

Sentii Alex imprecare mentre affondava il piede sull'acceleratore. Questo era davvero un problema. Non avevamo previsto che i piani potessero cambiare in corso d'opera e l'assenza di una strategia solida adesso ci faceva brancolare nel buio.

«Aspetta.» Misi una mano sul suo braccio teso a controllare il volante, sperando di tranquillizzarlo. «Caleb, condividi la posizione del tuo telefono con noi» continuai velocemente, tentando di mantenere un tono di voce fermo. L'ultima cosa di cui avevamo bisogno era di entrare in panico tutti e tre.

NOCTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora