Avevo fissato il soffitto panna di quella camera d'albergo per più di venti minuti.
Un lasso di tempo ragionevolmente lungo per sciolgiere i miei dubbi e le mie preoccupazioni relative al nostro folle piano di lasciare il Vermont e, forse per quello, ora mi trovavo in quello stato di grazia dove l'ansia era stata soppiantata dalla tranquillità e dalle carezze che le dita di Alex lasciavano tra i miei capelli, mentre giocava distratto.
Era al telefono con Philip, ma della loro conversazione riuscivo solamente a cogliere un vociare ovattato all'altro capo della linea e gli sbuffi pigri di Alex che si intervallavano sempre più di rado.
Tuttavia, quella fu una situazione di serenità destinata a non durare per molto.
«Arriviamo.»
Il tono secco di Alex mi costrinse a voltarmi nella sua direzione.
Dove dovevamo andare?
I miei occhi risalisono dal suo braccio sporto verso di me, fino al suo viso pensieroso, leggermente inclinato a causa del cellulare ancora attaccato al suo orecchio. Subito dopo però, la comunicazione s'interruppe e Alex lasciò cadere il telefono che rimbalzò morbido sul materasso.
«Riunione nella hall» rispose, quando il suo sguardo tornò a concentrarsi sul mio viso inevitabilmente carico di nervosismo. «Credo che scopriremo i programmi per questa sera.»
A quel punto, mi aspettavo che si alzasse, magari che mi salutasse velocemente, dirigendosi verso la porta, perché solo una manciata di minuti prima avevamo sottilneato ancora una volta come fossimo entrambi d'accordo, sul non farci vedere insieme. Alex però rimase fermo, scorrendo le dita tra i miei capelli, apparentemente senza aver intenzione di muoversi.
Forse la sua conversazione con Philip non si limitava a una mera comunicazione dei nostri impegni scolastici, perché era... distratto. Lo vedevo nel modo in cui il suo sguardo aveva perso d'intensità, come se fosse in quella stanza solo fisicamente, perché le eleganti pareti del Killington Resort non sembravano in grado di imbrigliare i suoi pensieri.
Sollevai il busto, tornando a mettermi seduta. «Tu inizia ad andare» lo invitai, forse più per attirare la sua attenzione, che per cacciarlo realmente. «Sai, non possiamo...».
«Non possiamo farci vedere insieme» completò lui, improvvisamente attento.
Mi spostò i capelli dietro le spalle e appoggiò la sua fonte alla mia. Adesso mi sembrava che i suoi occhi fossero tornati a parlare la stessa lingua dei miei perché, nonostante vedessi ancora delle tracce di preoccupazione, la distanza tra i nostri pensieri non sembrava più superare quella dei nostri corpi.
«Lo so» riprese con un sospiro. «E, per inciso, lo odio.» Rinsaldò la sua posizione, guardandomi negli occhi in un modo talmente diretto da mandarmi in panne il cervello, prima di staccarsi e dirigersi verso la porta.
Gli feci un saluto un po' imbarazzato con la mano e lo guardai sfilare fuori dalla mia stanza.
Era normale che le cose con Alex fossero strane, senza esserlo per davvero?
Voglio dire, ci comportavamo come una coppia per la maggior parte del tempo, ma non avevamo più parlato di ciò che era successo al Wenham Lake, o di quello che fosse accaduto nel laboratorio di chimica, a essere precisi. Avevamo questo rapporto ambiguo che mi faceva stare bene sul momento, quando eravamo insieme, e allo stesso tempo mi teneva costantemente sulle spine, soprattutto quando eravamo separati e la mia fantasia, o meglio, le mie paranoie galoppavano senza freno.
Sapevo che probabilmente quello era il momento che fossi io a prendere in mano la situazione, per cercare di capire qualcosa di più. Eppure, non mi ero scordata neppure per un attimo della frase che Alex aveva pronunciato prima di andare a dormire.
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NOCTE
Mystery / ThrillerSEQUEL DI IGNI C'è un equilibrio indissolubile che governa ogni cosa nel mondo. Non c'è gioia senza dolore. Non c'è silenzio senza rumore. Non c'è luce senza ombra. Fu in quel preciso istante che capii. Ero io. Ero sempre stata io, il punto di c...