13 - La risorsa (III)

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«Cassie...».

La voce si Alex si infrangeva contro i miei timpani in maniera strana, come se ci fosse un muro tra di noi. No, mi sembrava quasi di essere sott'acqua... possibile che lo fossi davvero?

«Cassie...».

Sbattei piano le palpebre, osservando l'ambiente circostante. Ero al buio, sul sedile di un'auto, mentre una spirale di fiocchi di neve frustava il parabrezza con violenza.

Il Vermont. Eravamo in Vermont.

All'improvviso, le immagini di tutto ciò che era accaduto solamente qualche ora prima tornarono a riempire la mia testa, lasciandomi senza fiato.

Caleb. Il marchio. Mia madre...

Credevo di aver imparato a gestire quei momenti. Quelli in cui non ti aspetti che il dolore ti colpisca, perché la tua mente è riuscita ad archiviare quelle emozioni negative in una piccola scatola, dove sembra che nulla ti possa toccare. Ma poi, è proprio allora che, quando il dolore arriva, è secco e inaspettato, ed è come se improvvisamente ti sbattessero in faccia la verità. Poi si attenua, passa, ma in quel momento ti lacera l'anima.

«Dobbiamo entrare.»

Alex aveva ripreso a parlare e registrai distrattamente i suoi polpastrelli che stringevano il mio ginocchio, nel tentativo di richiamare la mia attenzione.

Annuii un po' scombussolata e feci per alzarmi, quando realizzai che il suo giubbino mi avvolgeva il busto come una coperta. Glielo porsi un po' in imbarazzo, ma doveva averlo appoggiato lui su di me, dal momento che neanche ricordavo di essermi addormentata.

Era sempre così: quando l'adrenalina scemava, la tensione colava in un gorgoglio di spossatezza in grado di riempire la mia mente, annullando ogni mio pensiero. A quel punto, non facevo altro che rimanere esausta e in balia di un profondo mal di testa che trapanava le mie tempie. E infatti, scelsi proprio quel momento per portare una mano alla nuca, comprimendola in cerca di sollievo, prima di abbandonare il rassicurante tepore dell'auto. Mi sentivo uno straccio e, probabilmente, lo sembravo anche.

Mossi qualche passo nella neve. Non avevo idea di quanti gradi sotto lo zero ci fossero, sapevo solamente di avere le ciglia ghiacciate e istintivamente avevo spinto il naso contro la sciarpa, per ripararmi dal freddo. Ogni respiro era una coltellata nei polmoni e i brividi stavano mangiando la mia pelle un centimetro alla volta.

Alex mi passò una mano sulla schiena, cercando di scaldarmi, mentre ci avvicinavamo velocemente all'ingresso del resort, stando però attenti a non scivolare a causa del ghiaccio. Le mie mani tremavano troppo per pensare di raggiungere la tessera magnetica che avrebbe aperto le porte della struttura e che giaceva sul fondo della mia tasca sinistra, ma Alex fu più veloce di me e utilizzò la sua.

In pochi istanti fummo all'interno. Di nuovo al caldo. Di nuovo quella sensazione di intorpidimento, e mi ritrovai a tossire per abituarmi a quel cambio repentino di temperatura. Odiavo il freddo.

Realizzai però, che c'era qualcos'altro, che detestavo più della stagione invernale, ed era il flusso incessante dei miei pensieri. Avevo infatti già iniziato a chiedermi come mi sarei dovuta comportare, adesso che io e Alex saremmo stati costretti a separarci. Avrei potuto sperare che non citasse nuovamente mia madre? Avrei dovuto rassicurarlo sul fatto che stessi bene?

Sentii il labbro inferiore tremare e lo morsicai con forza, mentre mi ripetevo che non potevo crollare, finché lui era con me.

Furono tutti pensieri inutili, perché, invece di imboccare le scale che portavano al piano dedicato ai ragazzi, Alex continuò a camminare accanto a me, lungo quel corridoio debolmente illuminato che si estendeva a nord, verso le montagne.

NOCTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora