3 - Start a riot (I)

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Mi sarei aspettata almeno un messaggio. Quella era la pura e semplice realtà. Dopo quello che era successo il giorno prima, speravo che Alex mi avrebbe cercata per parlare. E invece niente. Era sparito come al solito, e io continuavo a pensare che neanche riuscivo ad avercela con lui. Ero troppo arrabbiata con me stessa e con la mia incapacità di gestire le situazioni che mi facevano paura, per canalizzare il mio odio verso un'altra persona. A parte Jenna ovviamente.

Ero riuscita ad evitarla di nuovo, ma era più di un mese che dormivo sei ore scarse e che passavo in giro la maggior parte della giornata. Avevo persino iniziato ad andare a correre, proprio io che odiavo qualsiasi forma di sport al di fuori di quello che potevo vedere in televisione. E gli scaffali disordinati della Peabody Library, la libreria comunale di Danvers, erano diventati il mio rifugio quando la Churchill Accademy chiudeva. Tutto, pur di rimanere fuori dalle mura di casa Parker.

Feci un profondo sospiro e attraversai la soglia dello spogliatoio femminile senza avere un'idea precisa di cosa avrei trovato. Era la grande serata. Sì, anche quella in cui avremmo potuto contenderci il secondo posto nel campionato di football, ma non era quello, ciò a cui stavo pensando.

Quella sera finalmente avrei avuto la risposta che tanto stavo aspettando da Caleb. Mi avrebbe aiutata? Sarei riuscita a ritagliarmi un posticino tutto mio in quella eterna lotta che perdurava dal diciassettesimo secolo? Non potevo esserne certa e l'ansia mi stava consumando.

Scansai due ragazze all'ultimo anno che facevano stretching, evitando accuratamente di incrociare il loro sguardo. Ero sicura di aver saltato almeno una decina di allenamenti delle cheerleader, ma senza Alice a ricordameli continuamente avevo finito per mettere tutti gli impegni a loro connessi nell'angolino più recondito della mia mente, dove tenevo quell'agglomerato di cose spiacevoli, ma fondamentalmente inutili, delle quali avrei preferito fare a meno.

«Cosa ci fai qua?»

Alice aveva impiegato meno di due secondi ad individuarmi e, a giudicare dall'espressione sul suo volto, non sembrava contenta di vedermi. Mi squadrò, sbattendo l'anta in metallo che stridette senza pietà.

Impietoso era anche lo sguardo che mi stava rivolgendo. Niente sorrisi, niente battutine come al solito. Solamente un altro nome da aggiungere alla lista delle persone arrabbiate con me. Vai così, Cassie.

«Non sapevo se avessi bisogno di me» risposi ciondolando un po' sui talloni. Odiavo sentirmi a disagio. Soprattutto con lei. Ma quella era la prima volta dopo settimane che parlavamo e non poteva essere altrimenti.

La vidi aprire e richiudere la bocca un paio di volte. Credo che volesse insultarmi e onestamente me lo sarei anche meritata. Quindi rimasi lì, pronta a sentire qualsiasi appellativo avrebbe coniato per me.

Sorprendentemente però, la vidi rivolgermi un piccolo sorriso. «No, voi nuove arrivate siete solo di riserva stasera» rispose infine.

Beh, dovevo ammettere che era andata inaspettatamente bene.

Tornò a guardare lo specchio accanto a lei. Era incredibilmente bella Alice, con quegli zigomi alti e il caschetto nero illuminato dalla sua pelle candida. Se non fosse stata anche così intimidatoria, con il suo carattere combattivo, probabilmente non sarebbe riuscita a fare un passo senza veder cadere ai suoi piedi qualche ragazzo.

Si sistemò per l'ennesima volta il fiocchetto blu che raccoglieva il ciuffo. «Sai... siete incostanti e non ci fidiamo» aggiunse acidamente.

Colpita e affondata. Ma non mi sentivo proprio nella posizione di ribattere. Avrei voluto dirle di non prenderla sul personale, che il mio essere inaffidabile non era mancanza di interesse, ma solamente l'incapacità di gestire qualcosa che era più grande di me.

NOCTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora