«Cassie, tutto bene?»
Sapevo che Alex doveva avermi vista sbiancare di colpo, ed ero consapevole che un'evidente preoccupazione trasudasse dalla sua voce, ma proprio non ero in grado di concentrarmi su di lui, perché non riuscivo a staccare gli occhi da mia madre.
Scrutavo ogni dettaglio, nonostante la distanza che ci separava. I capelli che portava ancora lunghi come quando ero piccola io. Il sorriso che sembrava illuminare chiunque fosse vicino a lei. Il modo in cui sbatteva un po' le palpebre quando ascoltava assorta.
Subito dopo però i miei occhi si mossero istintivamente sulle sue mani, probabilmente cercando la conferma di quell'informazione che alle mie orecchie risultava ancora assurda, ma che di fatto era lì: la prova che effettivamente si fosse sposata risiedeva nell'anello che brillava al suo anulare sinistro.
«Cassie...»
Sentii i polpastrelli di Alex intensificare la sua presa sulla mia spalla. Strano, neanche mi ero accorta della presenza della sua mano su di me.
«È... è mia madre» farfugliai senza guardarlo.
Non ci fu neanche bisogno di indicargli chi fosse, perché dopo un istante sentii la sua mano scivolare dalla mia spalla, pesante.
Con la coda dell'occhio, registrai che più volte si era voltato a guardare me e subito dopo il vetro che dava sulla stanza. Le sue iridi puntellavano ogni centimetro della mia pelle analizzandola, confrontandola con quella della donna di fronte a me. Ma non m'importava: poteva guardarci per tutto il tempo che voleva, se ciò mi avesse consentito di fare esattamente la medesima cosa.
«Dio, siete uguali» commentò infine con una nota di stupore nella voce.
Mi sentii congelare.
Quelle parole rimestarono la bile nel mio stomaco e scavarono una voragine immensa all'altezza del mio cuore, tale da mozzarmi il fiato.
Deglutii cercando forse di incamerare più aria, perché sentivo la testa leggera e le spalle pesanti, come se fossi prossima a uno svenimento.
Sapevo di essere la copia di mia madre. Stessa fisionomia, stessi capelli... entrambe condividevamo persino un piccolo neo sotto l'occhio sinistro, anche se, da quella distanza, per Alex era impossibile da notare.
Quando ero piccola, James mi prendeva in giro perché, a detta sua, entrambe mangiavamo tenendo la forchetta nella mano sinistra, pur non essendo mancine, ed entrambe quando eravamo infastidite gonfiavamo troppo le guance. A otto anni, gli avevo chiesto di smetterla con quei paragoni e mi ero imposta di non assomigliarle più in nulla.
Era da tanto però, che la consapevolezza della nostra somiglianza, non mi veniva sbattuta in faccia in quel modo. E la verità era che, pur non volendo condividere con mia madre neanche un grammo di ciò che mi rendeva me stessa, non potevo mentire di fronte alla genetica.
«Lo so» ammisi piano, improvvisamente svuotata.
Perché mi sentivo così? Non era forse ciò che volevo? Che questa storia mi portasse da lei?
Ecco, ora mia madre era lì, bellissima, di fronte ai miei occhi, e talmente vicina che mi sarebbe bastato scendere le ultime scale che ci separavano, per riabbracciarla.
E invece rimasi ferma, immobile, mentre controllavo il mio respiro affinché tornasse regolare.
Perché era lì? Era diventata una di loro?
Le domande s'infrangevano contro la mia scatola cranica in onde di confusione e frustrazione. Ero consapevole però di non poterci pensare in quel momento, perché sarebbe stato troppo facile mandare tutto a monte.
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NOCTE
Gizem / GerilimSEQUEL DI IGNI C'è un equilibrio indissolubile che governa ogni cosa nel mondo. Non c'è gioia senza dolore. Non c'è silenzio senza rumore. Non c'è luce senza ombra. Fu in quel preciso istante che capii. Ero io. Ero sempre stata io, il punto di c...