7- L'incontro (I)

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Una porta sbattuta.

Passi.

Di nuovo una porta sbattuta.

Strizzai piano gli occhi, socchiudendoli immediatamente per nasconderli alla luce fastidiosa che filtrava dalle persiane.

Quella volta, non ebbi neppure bisogno di verificare l'ambiente circostante per capire dove fossi, perché il braccio sinistro di Alex era ancora avvolto attorno alla mia vita, e il suo viso era incastrato nell'incavo del mio collo.

E mentre la mia mente era ancora intrappolata nella nebbia del sonno, il mio cuore sembrò svegliarsi di colpo, tuonando una serie di battiti veloci.

Avrei mai smesso di sentire quell'agitazione che sfrigolava nel mio petto, quando eravamo così vicini?

Mi passai una mano sulla fronte, spostando alcune ciocche di capelli, mentre riflettevo sugli eventi della sera precedente che mi avevano condotta lì. Mi sembrava di avere mal di testa,  come se avessi bevuto io, invece del ragazzo addormentato accanto a me. Ciononostante ero felice di essere andata alla festa di Philip, anche se avevo dovuto fronteggiare Alex in una versione ancora più ingestibile del solito. Per non parlare del fatto che suo padre ci avesse quasi scoperti e che, a giudicare dal sole che entrava dalla finestra, il nostro piano di sgattaiolare fuori prima dell'alba era miseramente fallito.

Sentivo però, che c'era qualcosa che mi sfuggiva, come piccoli frammenti di memoria disseminati senza che io fossi in grado di attribuirgli una logica precisa. Strinsi un po' gli occhi, sperando che, in quel modo, fossi finalmente in grado di mettere a fuoco quei dettagli dai contorni indefiniti che vorticavano nella mia testa senza sosta.

Di cosa stavamo parlando prima di addormentarci? La lettera dell'università di Washington, il fatto che non volesse andarci, e poi...

Poi il nulla.

Il mio cervello si rifiutava di collaborare, ma non era una novità. Facevo sempre fatica a ragionare di prima mattina, soprattutto senza caffeina in circolo. Sospirai piano, spostando delicatamente il braccio di Alex per alzarmi. Non ero intenzionata a scappare come l'ultima volta, anche perché non avevo un'auto, ma dovevo raggiungere la mia borsa abbandonata a terra e verificare se mio padre mi avesse cercata.

Non ero infatti convinta che la mia copertura avesse funzionato del tutto. Certo, gli avevo scritto che sarei rimasta a dormire da Alice ma da quando eravamo a Danvers, non so, sembrava particolarmente attento a quello che mi succedeva e ciò generalmente accadeva quando mi vedeva interagire con altre persone. Come se all'improvviso si accorgesse che, pur essendo una persona piuttosto autonoma, rimanevo comunque una minorenne. D'altro canto, speravo che il fine settimana con la sua dolce metà e con i reperti storici di vario genere, lo distraesse abbastanza da evitare troppe domande.

Sorrisi quando trovai la sua risposta della sera precedente: "Divertiti, carotina".

Avevo considerato l'idea di dovermi giustificare, di dover costruire una convincente versione del perché lo avessi avvisato del mio cambio di programmi solamente ben oltre la mezzanotte, e invece sembrava che la vicinanza con Lauren fosse come un talismano capace di ammansire i sospetti di mio padre.

Il mio sorriso però si spense all'istante, quando vidi il mio telefono riempirsi improvvisamente di talmente tante notifiche da spegnersi e riaccendersi più volte. Cosa diavolo stava succedendo? Schiacciai impulsivamente il tasto centrale, ma nulla, lo schermo era diventato improvvisamente nero.

Speravo che fosse solamente la batteria scarica, ma quella montagna di messaggi mi aveva subito allarmata. Chi poteva cercare proprio me con così tanta insistenza? James non mi aveva più scritto, dopo il messaggio della sera precedente, e l'unica altra persona della quale mi importava davvero si trovava con me in quella stanza.

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