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Ella Lyudmila Ivanov, Las Vegas, Stati Uniti d'America.

Mi avevano assegnato una camera in comune con Clare e odiavo quella disposizione. Avevo bisogno della mia intimità per poter parlare anche con i miei genitori e i soldati della Drakta, e la violoncellista, per quanto fosse simpatica, non faceva per me.

Presi il cellulare e mi rintanai sul balcone; in quel luogo faceva così caldo che nemmeno il mio vestitino a fiori riusciva a darmi soddisfazione, ed eravamo solo a marzo inoltrato.

"Pronto, papà?"

"Ella." Il tono dolce di mio padre mi procurò una fitta al cuore, perché sapevo che dovevo fare per forza rapporto. "Tutto bene? Sei arrivata a Los Angeles?"

Una piccola bugia che avevo dovuto rifilare per non ricevere troppe domande sul mio nuovo incarico musicale e che avrei pagato cara. Sospirai e mi morsicai il labbro inferiore mentre la temperatura all'altro capo del telefono si abbassava ad una velocità impressionante, andando a toccare i meno cinque gradi e promettendo tempesta.

La rabbia di mio padre era pericolosa, così come quella dei suoi fratelli e non avrei aiutato con la mia bugia, non dopo la confusione che Aleksei e Erin avevano combinato anni prima, o dopo il burrascoso coming out del mio cugino preferito.

"Non sono a Los Angeles."

Percepii quasi la scocca del telefono piegarsi, così deglutii e studiai le nuvole bianche nel cielo.

"Chissà come mai la notizia non mi sorprende, Ella."

E il suo tono di voce calmo non fu per niente rassicurante, tutt'altro. Era risaputo che la calma di Dimitri fosse il preludio della fine.

"Sono a Las Vegas." Mi costrinsi a sputare fuori quelle quattro parole. "Ho vinto un concorso alla Juilliard e sono la violinista più giovane dell'orchestra, a soli ventiquattro anni e-

"Chi sovvenziona."

Non volevo rispondere.

"Papà, io non sapevo che-

"Chi. Sovvenziona. L'evento. Ella?"

Cercai di trovare il coraggio e di rantolare quel cognome, ma nel mio intento gli occhi si fossilizzarono in quelli di Jack De Mattheis, qualche metro più in basso, in piedi nella parte esterna di uno degli hotel della sua famiglia, intento a scrutare il mio balcone. Mi stava soppesando, ma non era possibile che mi conoscesse, non era umanamente possibile, così con nonchalance spostai lo sguardo sul giornale del tavolino e diedi di nuovo le spalle alle due telecamere, appoggiando i gomiti sulla ringhiera.

"I De Mattheis," sussurrai vertendo lo sguardo sulla piscina e poi oltre il campo da golf. "Ma non ne ero a conoscenza."

"Torna immediatamente, Ella." La voce di mio padre era carica di rabbia. "Torna o manderò qualcuno."

"Non manderai nessuno," mi indispettii, ma la mia espressione rimase neutrale. "Non manderai a monte la mia carriera, papà. Non mi conoscono, quante possibilità ci potranno mai essere?"

"Ella, sei in pericolo." Percepii un tonfo sordo all'altro capo del telefono e non volli immaginare quale oggetto avesse trovato la sua fine contro al muro. "Non è difficile collegarti a me, tu e i tuoi fratelli siete la mia fottuta fotocopia e l'anello di famiglia, come il tatuaggio, non aiutano."

"Mi vuoi dire che ho la probabilità di essere riconosciuta perché ho gli occhi azzurri? Il tuo magnifico profilo e le labbra di mamma? Cosa ne dici dei miei capelli? Castano chiari e mossi? Papà tu hai i capelli lisci e non di certo le mie lentiggini, e non conoscono mamma così bene."

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora