XXVII

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Ella Lyudmila Ivanov, Hotel De Mattheis, Las Vegas, Stati Uniti d'America.

Al buio, mi bloccai in mezzo al corridoio. Un corridoio che stavamo percorrendo ormai da una decina di minuti e che sembrava non terminare più, ma Noah aveva tutto sotto controllo; o almeno, così aveva blaterato durante la nostra discesa tra quelle mura puzzolenti e abbandonate.

Ma davvero volevo correre via con un irlandese che conoscevo a malapena? Come potevo fidarmi? A prescindere da quel bacio, come potevo pensare di darmi alla macchia con qualcuno che si sarebbe potuto rivelare peggio di Jack?

"Aspetta."

Quando Noah si accorse della mia immobilità ritornò sui suoi passi, ma non comprese il vero motivo del mio arresto.

"Non è tempo di farsi prendere dal panico, Ella." Mi prese la mano senza attendere che gli stringessi le dita e mi tirò di nuovo verso il buio; ancora buio che avrebbe condotto ad altro buio, fino ad un buio più fitto e poi forse alla luce e alla libertà. "Non abbiamo tempo."

Mi sganciai dalla sua presa e nonostante l'oscurità si allungasse intorno ai nostri corpi, fui sicura del suo momentaneo stupore a quella mia ritrosia.

"Non mi sto facendo prendere dal panico, Noah." Mi avvicinai e questa volta raddrizzai la schiena e giurai a me stessa di non far la fine di un dado sbatacchiato a destra e a sinistra su un tavolo da gioco. "Ma non ti conosco e non comprendo come mai tu abbia tutta questa voglia di aiutarmi."

Si irrigidì e quasi potei percepire il rumore dei denti stridere uno contro l'altro dal tentativo di digrignare per abbattere lo stress, ma quando mi rispose sembrò commentare le variazioni climatiche di Las Vegas e niente poteva far supporre un qualche suo stato d'animo differente da noia e boriosità.

"Il motivo non ti interessa, ma ho bisogno di allontanarti da qui."

Piantai i piedi sul pavimento. "Non vado da nessuna parte, se non mi posso fidare, Noah... non verrò."

Imprecò un paio di volte, camminò avanti e indietro come una pantera in gabbia, ma poi si avvicinò di nuovo.

"Conosco tua madre."

Sfarfallai le palpebre stupita da quella piega del discorso, ma non riuscii ad articolare nessuna risposta degna di essere ricordata.

"C-Come?"

Inclinò la testa verso destra.

"O almeno, ci conosciamo indirettamente."

"Come." Questa volta fui più pretenziosa e un briciolo di rabbia iniziò ad investire la mia mente. Ero stufa dei loro giochetti, delle loro prove e- "dimmi perché, Noah. Sono arcistufa di tutte queste cazzate irlandesi."

"Abbassa la voce," bisbigliò. "Per caso vuoi far rivelare la nostra posizione?"

"No, certo che no." Tentai di rimanere calma quanto più possibile, ma quella strana situazione di immobilità mi dilaniava. "Come conosci mia madre?"

"Maria Maddalena Salvatore Ivanov-

"Maria Maddalena Ivanov." Corressi senza pensarci due volte con la voce gelida. "Non utilizza più il suo cognome da quando ha ucciso il padre, mio nonno."

Noah rimase in silenzio per qualche secondo, ma poi si schiarì la voce: "Maria Maddalena Ivanov non ha mai fatto mistero alla stampa russa che aiuta tramite donazioni una organizzazione di ricollocamento di giovani madri e donne vittime di violenza." Con un altro passo diminuì la distanza tra noi, e diminuì anche il tempo a disposizione, ma Noah voleva confidarsi, anche se in quel momento non compresi dove quel diavolo di discorso potesse andare a parare. "Per lo più si tratta di donne appartenenti alla criminalità di vario genere; onestamente non so come siamo riusciti a mantenere segreto che tutte le abitanti siano più o meno esplicitamente connesse alla mafia, qualunque essa sia, ma l'importante è che ci riusciamo tutt'ora."

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora