VII

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Ella Lyudmila Ivanov, Casinò De Mattheis, Las Vegas, Stati Uniti d'America.

Entrai nel casinò ed evitai di osservare la terrazza superiore, luogo in cui sapevo risiedesse la leonessa del Branco di San Patrizio e tirai dritta sorvolando le occhiate lascive degli uomini intenti a giocarsi lo stipendio della settimana, se non dell'intero anno, alle varie slots del casinò più lussuoso che avessi mai visto.

Quel pomeriggio, Aimee Linneth non mi aveva riconosciuta, fortunatamente, e volevo che il mio status di anonimato con lei perdurasse anche per i giorni a seguire.

Controllai che la spalla del mio vestito rosso di velluto con una generosa scollatura a V anteriore e spacco laterale, opposto alla stoffa pomposa che costituiva la manica, mi coprisse per bene la sede anatomica del tatuaggio della Drakta, e con un rapido check controllai anche la coda alta e tirata su un pannello dorato insieme agli orecchini fini d'oro bianco a cerchio. Avevo deciso di non indossare alcuna collana, perché le curve, gentile patrimonio genetico di mia madre, erano visibili grazie a loro stesse.

"Ella, sei bellissima." La voce di Clare mi giunse ovattata a causa del vociare degli ospiti. "Non pensavo saresti davvero venuta."

Sorrisi alla musicista di due anni più grande e salutai con la mano anche un paio di ragazzi dell'orchestra, i cui occhi non smettevano di andare dall'alto verso il basso lungo il mio vestito. Evitai di sorridere a quel comportamento, ma dovevo ammetterlo: ero solita girare con jeans e maglioni larghi nei dormitori della Juilliard, quindi a favore di ciò comprendevo il loro attonimento.

"Certo che sono venuta, Clare." Sorrisi ancora, ma cercai di svicolare lo stesso dalla sua presenza. "Vado a ordinare un drink, vuoi qualcosa?"

Mi persi la sua risposta, perché tra la folla fui in grado di scorgere dei capelli a me famigliari e il cuore mi si bloccò all'interno della cassa toracica. Con una scusa mi allontanai da Clare e con gli occhi incollati al metro quadro di spazio in cui erano scomparsi i capelli, mi scontrai contro qualcuno.

"Mi spiace."

Non lo guardai nemmeno in volto e cercai di svicolare, ma la presa dell'uomo contro cui ero andata a collidere non me lo permise.

"Ella." La voce di Keegan mi colpì come una frusta e la mia attenzione tornò all'irlandese con i capelli scuri, lunghi e mossi. "Siamo di fretta?"

"Ho bisogno di assicurarmi di una cosa e l'ultima volta che ho controllato non eri la mia guardia del corpo." Indicai un tavolo di irlandesi interessati alle mie gambe. "Vai dal resto del tuo stupido branco."

"Jack vuole parlarti e fossi in te, bambolina, qui dentro farei attenzione a come parlare."

Sollevai il mento e quasi scoppiai a ridere.

"Jack può andare a fanculo. Non sono un'irlandese, non rispondo ai suoi ordini e non mi interessano i tuoi suggerimenti."

"Ripeto: fossi in te farei attenzione a parlare così, russa." Nei suoi occhi ambrati brillò un avvertimento, lo stesso che si rispecchiò nella presa intorno alle mie braccia e quasi mi sorpresi, perché finalmente aveva tirato fuori gli artigli. "Non mi farei riconoscere all'interno del nostro casinò."

"Allora lasciami andare, Keegan."

"Ivanov." Una seconda voce si aggiunse alla prima e questa volta fu quella di Jack; la sua presenza al mio fianco catturò una serie di occhiate più o meno interessate al teatrino. "Perché tutta questa fretta?"

Abbassai il tono di voce e fulminai i due uomini di fronte a me. "State attirando l'attenzione, quando il mio unico desiderio era quello di-

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora