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Ella Lyudmila Ivanov, Hotel De Mattheis, Las Vegas, Stati Uniti d'America.

Vi era uno strano silenzio. Un silenzio pesante e buio, una coperta che mi avvolgeva anichevolmente le spalle; una totale assenza di rumori nella mia testa, che mi faceva vibrare le ossa e le scuoteva contro la pelle.

Trepidazione, ero così trepidante di appoggiare l'archetto sulle corde del violino, che le dita tremarono contro il legno levigato e persero appoggio, ma era la mia ultima esibizione come membro della Juilliard e non avrei fallito. La mia ultima sonata.

Malinconico addio.

Così avrei intitolato la sinfonia che mi si stava dipingendo nella testa prima della mia ultima esecuzione e così avrei voluto trascriverla su un fogliettino: esuberante, esaltante, ma soprattutto: viva e feroce.

Scannerizzai le sedute e adattando lo sguardo osservai uno per uno i presenti, fino a quando i miei occhi non si posarono su due facce della stessa medaglia: Noah O'Crowley e Jack De Mattheis, uno dietro l'altro con la stessa espressione algida e solenne.

In quelle poche ore che erano trascorse da quando avevo accettato di intraprendere la pazzia della leonessa, mi ero domandata come mai Jack, l'uomo che già si credeva il mio futuro marito, non avesse contestato la decisione di sua madre e come mai Noah, il mostro tra gli irlandesi, avesse distrutto un intero studio dopo aver saputo della mia decisione.

Li avevo spiati quel pomeriggio, avevo pedinato Jack per comprendere come avesse reagito a quella nuova sfida, ma non... semplicemente non aveva battuto ciglio, a parte quel no non troppo sommesso nello studio, che non aveva portato giovamento alla mia condizione e mi ero chiesta più volte se fosse quello il tipo di marito che avrei voluto davvero al mio fianco, invece di qualcun altro che avrebbe distrutto il mondo pur di salvarmi, ma a quanto mi era parso di comprendere, non avevo voce in capitolo.

Con un lungo respiro appoggiai l'archetto sulle corde e iniziai a suonare...


Ore dopo, mi rannicchiai all'interno delle fredde coperte della stanza nel palazzo, o hotel come dir si voglia, che apparteneva agli irlandesi e pensai ai miei famigliari, tutti sul rispettivo jet di ritorno. Nessuno avrebbe potuto assistere alle prove e non perché Aimee Linneth avesse proibito loro di partecipare, quanto più perché il lavoro li aveva richiamati in Russia e non gliene facevo una colpa; mio padre si era quasi strappato i capelli dal terrore prima di partire, ma ero grande e potevo cavarmela da sola, o almeno così speravo.

Mi sorpresero due pesanti tonfi alla porta della mia nuova stanza; scattai in piedi e mi avvicinai guardinga. Spalancai l'uscio solo il tanto necessario per spiare all'esterno e sbuffai infastidita, quando un sorrisetto impertinente mi accolse dall'altra parte.

"Che vuoi?" Non aprii di un centimetro di troppo. "Non dovresti essere qui."

"No, non dovrei." Le sue labbra rosee si spalancarono lentamente in un ghigno sensuale e contro la mia volontà, rimasi incantata da quella piega e dalla fossetta destra. "Ma, sono qui e ora mi farai entrare."

I miei occhi scattarono in quelli chiari, leggermente ambrati e più scuri di Jack, con velocità.

"Assolutamente no."

"Sai che posso buttare giù la porta in un secondo, vero?" Ammiccò Noah incrociando le braccia al petto. "Ma, purtroppo, russa, ho bisogno che tu mi faccia entrare senza fare troppe moine, perché se qualcuno ci dovesse scoprire..."

Lasciò la frase in sospeso e si portò un dito alla gola, muovendolo orizzontalmente per minare uno sgozzamento.

"Vattene, o sarò io a chiamare aiuto."

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora